Era di maggio

Era di marzo, fiorivano i balconi di arcobaleni. E i davanzali. Archi colorati e una scritta: “andrà tutto bene”. Ridevano, in quegli arcobaleni disegnati, il verde della speranza, il rosso del coraggio, il giallo dell’energia, l’arancio della fantasia. E poi dipinti negli arcobaleni c’erano gli azzurri e i viola della serenità, degli spazi infiniti. 

In tutta quell’iridescenza mancava naturalmente il nero, il non-colore dell’oscurità, del dolore, della paura. Eppure a marzo di paura ne avevamo tanta. Avevamo più paura che speranza, che coraggio, che serenità. Passava poi aprile, si consumava la primavera, si combatteva lentamente ma con successo la battaglia contro un male che voleva rubarci il fiato, si riaprivano con cautela i confini delle nostre abitazioni, si aspettava che nel buio si accendesse finalmente qualche luce; i colori dell’arcobaleno provavano a tingere le nostre giornate, ma la paura era un buco nero dal quale ci sembrava impossibile uscire. La paura della fame, della sofferenza, dell’impossibilità di riappropriarci di un tempo “normale” che sembrava irrimediabilmente perduto, si sommava alle paure ancestrali che non ci lasciano mai, le paure con cui cresciamo fin da bambini.

Chi ha paura del buio?

Chi ha paura dell’uomo nero?

Era di maggio quando moriva George Floyd, quando moriva un uomo nero.

Aveva 46 anni, George Floyd, era il papà di una bambina e lavorava come guardia di sicurezza da 5 anni, prima di perdere il lavoro a causa della pandemia. Moriva il 25 maggio 2020 dopo aver comprato un pacchetto di sigarette, a Minneapolis. Non era stata la malattia a rubargli l’ultimo respiro. Era stato l’uomo bianco, in divisa, a togliergli il fiato piantandogli un ginocchio sul collo per un tempo infinito. Faceva il giro del mondo il gesto dell’uomo bianco genuflesso sul corpo dell’uomo nero, in un gesto che poteva sembrare di preghiera e invece era un atto di violenza, il furto di un respiro. Scoppiavano le piazze, esplodevano i tumulti. Alla pelle nera non corrisponde un’anima nera, ma questo l’uomo bianco ancora fa finta di non averlo capito.

Chi ha paura del buio?

Chi ha paura dell’uomo nero?

Se l’America ha paura dei neri, il resto del mondo non è da meno.  Il razzismo è un male contro il quale ancora non sono stati impegnati soldi sufficienti a produrre un vaccino. E l’idea di razza (superiore, inferiore, bianca, ebrea, nera, zingara, tutsi) circola indisturbata nel mondo benché priva di fondamento. Perché la razza non esiste, ma il razzismo si e anche se la scienza afferma che non esiste la realtà della razza antropologica, resiste tuttavia una realtà immaginaria delle convinzioni che corrobora l’idea di razza per giustificare il razzismo. E la parola RAZZA che continua a circolare indisturbata si è trasformata in un’arma al servizio dell’ingiuria.  E anche noi italiani, che cresciamo con le radici ficcate dentro l’acqua del Mediterraneo, dove gli incroci secolari di prigionieri e mercanti di tutte le rive hanno ricombinato in mille modi la nostra genetica prima ancora che la nostra cultura, noi “schiavi liberati” che siamo frutto di mescole millenarie di dei, lingue e sapori, non siamo immuni dal razzismo e fingiamo di non avere sulla nostra terra ghetti di migranti e di miseria dove abitano braccianti sfruttati, sfiniti, condannati, il cui nero della pelle basta a giustificare il nero del lavoro.

di Daniela Baroncini

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