Cine-pillole l’estate sta finendo il virus no

Hanno riaperto molte sale, e la prossima settimana riapriranno tutte. Sempre che il virus ne consenta il piacere del loro pieno utilizzo. Molti i film in programmazione. Qui una sintesi di quelli in sala e in rete.

Mai, raramente, a volte, sempre. Meritorio, da non perdere per ogni ragazza. Anche ragazzo, genitore, adulto. Autumn, giovanissima commessa di un supermarket della Pennsylvania rimane incinta. Di chi? Non vuole dirlo. Chiede alla cugina Skylar, che è anche collega di lavoro, di accompagnarla a  New York per abortire. Una vera e propria dettagliata guida medico-psicologica alla scelta consapevole, in forma di viaggio, deambulazioni notturne con pochi soldi in tasca nella metropoli estranea, indifferente. La delicata ma precisa attenzione della regista, Eliza Hitman, con la vicinanza della sua macchina da presa al corpo e alla emozioni della ragazza, lascia affiorare la dimensione di disorientamento, smarrimento e drammi interiori che si scatenano in una poco più che adolescente in questo cruciale conflitto esistenziale. Il titolo si riferisce alle domande che la psicologa del consultorio rivolge a ogni ragazza incinta. Soprattutto riferite al fatto se sia mai stata costretta a fare sesso contro la sua volontà, e quante volte. La risposta deve rientrare in quelle quattro opzioni. Bravissime le due esordienti interpreti Sidney Flanigan e Talia Ryder. In sala.

Adults in the room. Alta cifra tragico-storica di Costa-Gavras. Censurato, non distribuito. Tratto dall’omonimo libro di Yanis Varoufakis, Ministro dell’Economia nel 2015, con il governo greco di Alexis Tzipras. Ministro che registrò con il telefonino molti dei drammatici incontri che ebbe con gli altri ministri europei e con la famigerata Troika, mentre la Grecia era sull’orlo della catastrofe economica. Nonostante l’alta competenza economica e anche l’abilità diplomatica di Varoufakis, a ogni incontro la morsa si stringe per far capitolare e stritolare il suo Paese con l’accettazione del  MeU, Memorandum of Understanding. A ricordarci che la Ue è soprattutto un accordo tra Stati basato sull’economia, e non più sulla politica, di fatto consegnata a quel passato che è la origine greca dell’Europa stessa. Costa-Gavras torna al suo grande cinema politico, restituendo il senso della tragedia classica nelle forme e nei personaggi della più bruciante attualità. Impressionante, in questo senso una delle scene finali. L’oscenità, appunto, del potere non più politico, ma economico. Un’onirica coreografia-balletto – da vero e proprio coro tragico eschileo – di tutti i leader attorno a Tzipras per scaraventarlo fuori dall’Europa. Il titolo è una frase pronunciata da Christine Lagarde, allora presidente del Fmi, Fondo monetario internazionale. Link film su pagina fb di Contropiano.org.

Siberia. Vertigine di immagini, simboli, significati. Clint, con la sua muta di cinque cani husky da slitta, si è ritirato in un remoto rifugio nella neve perenne, offrendo ristoro alle rarissime persone che vi arrivano. Abel Ferrara e il suo attore feticcio Willem Dafoe, compiono un lungo viaggio storico-geografico tra ghiacci, dune desertiche, boschi, villaggi mediorientali, lande asiatiche, con inquadrature di grande maestria dinamica, che sono solo una metafora della coscienza, della memoria, delle ossessioni, delle pulsioni erotiche del regista e della sua opera artistica. Anche il titolo è metafora interiore, dato che le riprese innevate del film sono state quasi tutte effettuate tra le montagne nella provincia di Bolzano. D’altronde sia Ferrara, sia Dafoe sono ormai più di casa a Roma che a New York. In sala.

Il grande passo. Più d’una coinvolgente commedia. Mario e Dario, sono due fratelli non della stessa madre, ma dello stesso padre sciamannato. Uno romano, l’altro padovano, sono costretti a rincontrarsi a causa di Dario: andare sulla luna, infatti, è la sua concretissima utopia. Tanto che si è costruito un razzo per andarci. Ma questo lo scaraventa verso l’incombente minaccia di un ricovero in casa di cura. Gustosamente messo sulle sapienti spalle interpretative di Stefano Fresi e Giuseppe Battiston, il film riesce davvero a far decollare questi due ragazzini, dal sottosuolo del loro inconscio maltrattato, verso la luna di una loro piena consapevolezza. Scatta per lo spettatore l’immedesimazione emotiva del ragazzino rimasto in ognuno di noi.  Prodotto da Betta Olmi e Donatella Palermo per Ipotesi Cinema, con la regia di Antonio Padovan. In sala.

Onward – Oltre la magia. Animazione d’avventura Pixar-Disney per adolescenti. I fratelli Ian e Barley, inseguiti dall’ansia protettiva di Mamma Laurel, si mettono in viaggio sul loro scassato furgone Ginevra, alla ricerca di una gemma magica, che ha il potere di fargli rincontrare il padre morto per un giorno soltanto. Pericoli e trappole vertiginose, micidiali minacce, fallimenti abissali, colpi di scena e di magia inaspettati, suspense mozzafiato in territori accidentati e remoti, alla fine i due si ritrovano nella fontana pubblica davanti casa loro. Oltre la magia, infatti, c’è proprio la dimensione reale, quotidiana dei propri affetti e sentimenti. In sala.

Little Joe. Algida scientific-fiction su una pandemia mentale. Alice lavora in un’azienda di floricultura, che sperimenta specie di piante e fiori, attraverso avanzatissimi innesti bio-tecnologici con virus sia naturali, sia sintetizzati in laboratorio. Alice mette a punto un fiore rosso profumatissimo che denomina Little Joe. Contravvenendo alle rigide procedure interne, ne porta un esemplare a casa per rendere più felice il figlio. Quel profumo, infatti, ha il potere di donare felicità in chi lo inala, quasi una citazione dal celebre romanzo di Ruskind, Il profumo. In un’architettura per interni aziendali e domestici fredda, asettica, vagamente perfida, le cose sfuggono di mano alla protagonista, la quale cerca di farsi aiutare dalla sua psicoterapista, vestita sempre con abiti a tema floreale, mentre lei è in perenne bianco ghiaccio. Il fiore rosso geneticamente manipolato – questo il nocciolo attuale della sci-fi – assume un propria personalità e strategia vitale. Abbondano, infatti, guanti e mascherine, proprio come nel nostro presente, solo che la pandemia non è fisica ma mentale.In sala.

Il meglio deve ancora venire. Commedia francese su schema già sperimentato. Ormai certe commedie e impianti narrativi di successo vengono ripresi liberamente da un paese e all’altro d’Europa. Addirittura si firmano accordi produttivi e distributivi ancora prima che il film sia scritto e realizzato. È il caso di Perfetti sconosciuti, comprato a scatola chiusa dagli spagnoli, che ne hanno fatto un loro remake di strabiliante successo In questo film, invece, è uno schema che viene replicato: quello del bromance, ossia dell’amicizia speciale, non sessuale, tra due uomini. Più particolarmente, tra due, di cui uno è inaspettatamente colpito da male terminale. I francesi ci aggiungono il loro particolare touche comedien, con complicazioni narrative e gioco degli equivoci esilaranti. Solo che poi, quando si arriva davanti al vero spettro della morte, il racconto smarrisce un po’ la sua verve. Al meglio Fabrice Luchini e Patrick Bruel, una coppia cinematografica che opposta non si può. Il primo accolto con ovazioni da stadio dopo la presentazione del film al Festival di Roma 2019. In sala.

Monos – Un gioco da ragazzi. Per stomaci forti. Nelle montagne colombiane a sette – tra ragazze e ragazzi – viene affidato il compito di custodire per l’Organizzazione, che li ha addestrati militarmente, una donna rapita, le Dottoressa. Devono anche accudire e mungere regolarmente una mucca, chiamata Shakira, quasi un vitello d’oro biblico. Il loro capo addestratore è il Messaggero. È molto basso di statura, a ricordarci plasticamente che è stato ex bambino soldato. Lui chiama la sua truppa monos, scimmie. Una volta impartiti gli ordini e distribuite le cariche di comando ridiscende a cavallo la sierra. Dopo un paio di giorni i ragazzi ammazzano la vacca, se la mangiano e danno inizio a una inesorabile discesa nell’inferno delle peggiori efferatezze. Il regista Alejandro Landes si è voluto ispirare alla realtà del conflitto governativo contro la guerriglia colombiana, recentemente conclusosi con un accordo di pace. Narrativamente, però, l’impianto è l’esasperazione di un modello classico della letteratura americana. Quello esemplificato da Mark Twain in Le avventure di Tom Sawyer. La fuga dalla scuola, dalla città, dalla legge, per una formazione più autentica tra la durezza e la libertà della natura. Un’esasperazione che ci dice molto sul carattere di un’epoca. Riprese di grande impatto tra brume e squarci di nubi attorno alle vette dei più remoti paesaggi colombiani.

A sun. Avvincente storia di dolore e riscatto familiare che ci svela l’isola di Taiwan. Un’estetista e un istruttore di scuola guida hanno due figli. Uno buono, premuroso, studente universitario modello; l’altro deviato sulla cattiva strada. Quest’ultimo finisce già alla prima scena in galera. L’altro lo seguiamo nella particolare sensibilità percettiva di affetti e comportamenti. Anche a lui, però, non va bene. Una lunga storia convincente di due ore e mezza che ci fa entrare in una realtà a noi poca conosciuta: quella dell’isola cinese indipendente di Taiwan, o Taipei, o Formosa. Il titolo gioca sull’assonanza sun/son, sole/figlio. Su Netflix.   

Una sirena a Parigi. Love comedy con sirena. Gaspard trova Lula, una sirena mezza morta su una banchina della Senna e la ricovera nella propria vasca da bagno. Non è la prima volta nel cinema e nel mito che un umano s’innamora d’un essere marino. Le love story hanno però bisogno sempre di varianti, altrimenti annoiano già dall’inizio. Qui Gaspard sta cercando di salvare dalla chiusura definitiva il Flowerburger, un battello cafè chantant, in cui si respira una frizzante e romantica atmosfera fuori dal tempo. Gli animatori e cantanti del cabaret si chiamano sorprenditori, e Gaspard è il migliore tra essi. Una scena sottomarina tra Gaspard e Lula non può non richiamare alla memoria visiva L’Atalante, il film capolavoro con battello fluviale di Jean Vigo (1934).

Tenet. Spettacolare, da vedere, ma non riesce a superare Inception. Un agente senza nome (della Cia?) deve salvare il mondo dal big-crash dell’inversione del tempo manovrata dal trafficante d’armi e plurimiliardario ucraino Andrei Sator. Le spiegazioni scientifiche vengono fornite nei dialoghi a una velocità tale e nel corso concitata dell’azione che è come a dire: non cercare di capirle, fidate figlio! Vedendolo in versione originale non si fa in tempo a leggere compiutamente i sottotitoli. Spesso non si capisce neanche bene cosa stanno facendo, perché e come lo stanno facendo. Tutto il film, compreso il tema del tempo, tanto caro a Cristopher Nolan, risulta così assai meno significativo, intenso e poetico di quanto avveniva in Inception, 2010, con Leonardo di Caprio, e anche di Interstellar, 2014. Qui è esaltato il lato spettacolare, con tecno-riprese complesse e mozzafiato. Come si dice: mi tolgo tanto di cappello, ma non mi commuovo, non applaudo. Inoltre riscontriamo sempre più la stessa dozzinale regola: più scientificamente sofisticante sono diavolerie tecnologie e armi a disposizione, più si risolve tutto a suon di cari vecchi cazzottoni, ginocchiate alle palle, gomitate in bocca, calci in faccia, allo stomaco e tutto lo stratificato repertorio classico degli stunt men. La scena attoriale è dominata è da Kennet Branagh, nei panni dello spietato Sator, con il punto debole, però, rappresentato dall’amore per la moglie Kat. Il titolo è una parola palindroma inserita al centro di un’antica incisione quadrata latina con parole rovesciate, che appaiono tutte nel corso del film (Sator, Arepo, Tenet, Opera, Rotas). Tradotto dal verbo latino tenēre, tenet significa tiene, ma è anche il nome dell’ex direttore Cia, dal 1997 al 2004, George John Tenet. Totale: il film è costato la sbalorditiva sberla di 205 milioni di dollari, ma si vedono tutti.

di Riccardo Tavani

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