Caserma Levante: così va il mondo
Purtroppo la notizia della riapertura della caserma Levante dei carabinieri di Piacenza, quella sequestrata a luglio dopo che dieci militari erano stati sottoposti a misure cautelari per reati definiti dagli investigatori “impressionanti”, pur con tutta la buona volontà, non poteva non essere data. E allora, ecco che, molto discretamente, l’aggiornamento è scivolato in pagina e si è affacciato da qualche schermo televisivo.
Tanto inusuale tatto che qualcuno potrebbe anche pensare a una qualche regia censoria. Ma per carità.
Certo, è del tutto evidente che i mezzi di comunicazione abbiano mostrato una certa ritrosia e che non smanino e sgomitino dalla voglia di informare, o intrattenere, con la storia dei carabinieri di Piacenza. E questo è strano perché il fattaccio è pieno di argomenti che solleticano l’attenzione, quelli che solitamente certa infotainment cerca col lanternino per imbastirci sopra pagine e puntate. In un’unica storia è stato servito alle redazioni un perfetto amalgama di potere, sesso e droga. Cosa si poteva sperare di meglio per intrattenere l’estate degli italiani post lock down. Eppure tanto succulento materiale è rimasto nei cassetti. Sembra incredibile se solo si pensa a quanti particolari piccanti, quante testimonianze dei vicini, quanti reportage sulle feste, sulle abitazioni, sugli abiti degli arrestati potevano essere imbanditi per l’appetito di lettori e telespettatori.
Escludendo una resipiscenza collettiva, verrebbe da dire che a frenare l’interesse delle redazioni sia stata la divisa indossata dai presunti colpevoli. Una divisa che ha reso timidi come coniglietti anche quei giornalisti e anchormen che solitamente amano sguazzare nel lordume.
La cosa veramente triste della vicenda è che, scartate le indebite pressioni, la rimozione nasce da una naturale propensione, tanto comune tra gli umani, a mostrarsi forti con i deboli e deboli con i forti.
Una inclinazione dello spirito che diventa pericolosa quando investe in modo così massiccio un “potere”, quello dell’informazione, che dovrebbe essere a disposizione dei cittadini per permettergli di conoscere, criticare, contestare gli altri poteri e che può contare solo sul senso civico e sul coraggio dei giornalisti.
Un orientamento che ha la tendenza a nascondere la polvere sotto il tappeto e che quando non ci riesce, o proprio non può fare a meno di fornire una notizia, ricorre a tutto l’armamentario proverbiale. Ecco allora i richiami a non fare di tutta l’erba un fascio e il ricorso all’eterna teoria della mela marcia. Tolta quella, spesso per intervento esterno perché dall’interno nessuno l’aveva notata, il resto del cesto è sano e immacolato.
Beh, è un modo balordo di fare informazione. Specie perché un tale trattamento è riservato solo a quei fasci e quei cesti che godono di autorità e di prolungate e massicce campagne d’immagine.
Per tutti gli altri, le colpe di uno possono ben ricadere su intere categorie ed etnie. Così va il mondo.