Cina, il movimento #MeToo non è finito

Era il 2014 quando Xianzi, una stagista presso l’emittente televisiva nazionale cinese, entrò nel camerino del presentatore Zhu Jun per intervistarlo. La ragazza voleva raccogliere informazioni da inserire in un progetto per l’università. Xianzi racconta che una volta rimasti soli, Zhu Jun l’afferrò e tentò con insistenza di baciarla. Quando la ragazza raccontò tutto alla polizia, si sentì consigliare di non denunciarlo per evitare ripercussioni negative sul Partito Comunista. Zhu era un personaggio molto famoso, forse troppo famoso per mettere a repentaglio la sua reputazione di uomo integerrimo.  Aveva anche presentato il gala di fine anno, il programma tv più visto al mondo. Mettere quindi in discussione la sua assoluta rettitudine morale sarebbe stato quanto mai fuori luogo e non necessario.

Quattro anni dopo quell’episodio, la campagna #MeToo, in crescita globale, ha cominciato a spingere le donne cinesi a raccontare le loro esperienze di molestie sessuali. Xianzi (lo pseudonimo con cui la ragazza è conosciuta in Cina) ha messo nero su bianco il suo racconto ed è diventata il volto del movimento nel paese. Zhu ha negato le accuse e ha denunciato Xianzi per diffamazione. La ragazza, a sua volta, ha querelato il presentatore chiedendo le sue scuse e 50mila yuan (6.200 euro) di danni. Che il governo cinese abbia guardato con sospetto l’attivismo #MeToo nel timore che potesse trasformarsi in dissenso politico era a dir poco scontato tanto da aver soppresso la copertura mediatica della disputa tra Xianzi e Zhu. Ma il 2 dicembre la prima udienza del processo ha riportato la ragazza sotto la luce dei riflettori. L’udienza non ha prodotto un avanzamento del caso, perché Zhu non si è presentato e la seduta è stata aggiornata. Si riprenderà probabilmente nel 2021. Ricordiamo il passaggio del tempo. Tutto ebbe inizio nel 2014. Anni di diatribe, attese, denigrazioni, battaglie legali, lotte per il riconoscimento della dignità della persona. Delle persone tutte.

Il fatto che la causa del #MeToo sia ancora viva in Cina è apparso evidente fuori dal tribunale di Pechino. Nonostante la presenza massiccia delle forze dell’ordine e un clima politico che scoraggia la partecipazione alle manifestazioni pubbliche tranne che nei più arditi o dissennati, più di cento persone si sono riunite per sostenere Xianzi.

Un gruppo ha esposto lo slogan “Insieme pretendiamo una risposta dalla storia”.

In Cina molti aspetti del sistema favoriscono gli uomini, a cominciare dalle questioni familiari e lavorative.

Così grazie a Xianzi, molte donne hanno accusato di molestie uomini potenti, tra cui accademici, personaggi della tv e dell’informazione, leader di organizzazioni benefiche e figure religiose.

Nel 2018 il più alto tribunale della Cina ha chiarito per la prima volta che le molestie sessuali possono giustificare una denuncia. Eppure è sorprendente che il caso di Xianzi sia arrivato fino a questo punto, perché nel paese le vittime di molestie incontrano enormi ostacoli quando vogliono rivolgersi ai tribunali. I costi dei processi sono elevati, e molti avvocati e Ong non hanno le competenze necessarie in un ramo del diritto ancora poco esplorato. Spesso le donne che decidono di parlare subiscono aggressioni online da uomini contrari al femminismo e al movimento #MeToo. Dunque le donne devono affrontare un contesto estremamente ostile.

Eppure oggi le donne cinesi laureate sono più numerose che mai. Nel 2009, per la prima volta, le studentesse universitarie hanno superato i maschi, e da allora risultano essere stabilmente in maggioranza. Le ragazze con un livello d’istruzione elevato sono state in prima fila nel movimento #MeToo. Le loro rivendicazioni dei diritti delle donne sono “molto difficili da sopprimere”, sottolinea Wang Zheng, dell’università del Michigan.

Il Partito comunista accusa “forze straniere ostili” di aver alimentato le proteste. Nel 2015 la polizia ha arrestato un gruppo di donne che distribuiva adesivi contro le molestie sessuali sui mezzi di trasporto. Le donne, diventate famose come “le cinque femministe”, hanno trascorso settimane in carcere e sono state rilasciate solo dopo che la vicenda ha provocato reazioni sdegnate in Cina e all’estero.

Anche se ostacolata dal governo, l’attività delle donne ha prodotto alcuni risultati. Oggi c’è molta più consapevolezza delle questioni legate all’uguaglianza di genere, e il merito è del #MeToo.

Il nuovo codice civile, entrato in vigore il 1 gennaio, dà ai datori di lavoro il compito di evitare gli episodi di molestie sessuali nell’ambiente lavorativo. Molte femministe ritengono che questo successo sia dovuto ai loro sforzi per evidenziare il problema.

Xianzi non crede che alla fine vincerà la causa (il processo intentatole da Zhu è ancora pendente), ma ritiene che anche la sconfitta sarebbe una “vittoria”, perché la sua denuncia avrà comunque contribuito ad attirare l’attenzione sul tema degli abusi sessuali. Quando è calata la sera davanti al tribunale e la temperatura è scesa sotto lo zero, i sostenitori della ragazza che la seguono sul web hanno cominciato a inviare bubble tea, hamburger, pollo fritto, spaghettini, disinfettante per le mani, guanti e denaro per il taxi alle persone ancora riunite sul posto. La folla ha risposto “Siamo tutti amici di Xianzi”.

Un finale che commuove, come una favola in cui persona dopo persona si crea una piccola massa che in ogni caso smuove le coscienze e nel gruppo ci si sente più forti e meno soli tanto da sperare di affrontare l’irraggiungibile.

I grandi cambiamenti, le vere rivoluzioni partono sempre dalle donne e dal loro universo sconfinato fatto di energia, determinazione e coraggio.

di Stefania Lastoria