LA FIGURA FEMMINILE ALL’INTERNO DELLA CHIESA

silviaCon il Motu Proprio “Antiquum Ministerum” firmato il 10 maggio 2021, il Papa, ha stabilito un nuovo Ministero, quello laicale di Catechista: “un’urgenza per l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, da svolgersi in forma secolare, senza cadere nella clericalizzazione”. In parole povere, la figura del catechista, verrà istituzionalizzata all’interno della Chiesa Cattolica, infatti Francesco si rivolge al mondo secolare, a tutti quei laici che desiderano essere “testimoni della fede, maestri, mistagoghi, accompagnatori e padagoghi” , egli ancora si rivolge a tutti quei fedeli pronti ad offrire il loro contributo al “servizio pastorale della trasmissione della fede, dal primo annuncio, fino alla preparazione dei Sacramenti dell’iniziazione cristiana”, ad ogni cristiano che senta di voler contribuire all’impegno missionario tipico di ogni battezzato. “I catechisti dovranno essere uomini e donne “di fede profonda e maturità umana”; partecipare attivamente alla vita della comunità cristiana; essere capaci di “accoglienza, generosità e vita di comunione fraterna”; essere formati dal punto di vista biblico, teologico, pastorale e pedagogico; aver maturato un’esperienza previa di catechesi; collaborare fedelmente con presbiteri e diaconi, nonché “essere animati da vero entusiasmo apostolico”. Da oggi quindi, anche le donne catechiste, finalmente riceveranno ufficialmente il ministero laicale di catechista.

Il pensiero corre ai tempi passati, quando la figura della donna era relegata ancora nell’angolino, o rimaneva sullo sfondo senza ricevere i giusti onori, nonostante la stragrande maggioranza di catechiste donne che emergono dalle varie fonti storiche, infatti, le donne nella Chiesa ci sono sempre state, pensiamo alle prime sante, alle martiri, alle vergini che avevano consacrato la propria vita a Cristo e che avevano preferito il martirio alla rinuncia dei loro voti. Pensiamo alle grandi fondatrici di ordini religiosi, donne dedicate alla cura dei malati, all’insegnamento, alla carità verso i poveri, all’infanzia. Pensiamo come nei secoli la loro presenza sia diventata sempre più forte con il passare del tempo, non solo a livello monacale o di consacrate ma anche a livello laicale. La domanda sorge spontanea: quante donne hanno ricevuto l’ufficialità per il servizio svolto?  Nonostante la loro presenza costante, spesso mi sono domandata il motivo reale per cui la donna non ha mai avuto una grande rilevanza all’interno della Chiesa nel passato. Prendiamo atto che grandi passi in avanti sono stati fatti dal Concilio Vaticano II in poi, grazie a quella svolta epocale i papi hanno lentamente aperto uno spiraglio che poi finalmente Francesco ha considerevolmente spalancato, ufficializzando senza indugio la presenza femminile all’interno del Vaticano, aprendo la Chiesa al mondo laicale, soprattutto a quello femminile e spalancando porte chiuse da secoli. Dando uno sguardo al passato, non possiamo fare a meno di notare quanto la figura femminile sia stata spesso solo di contorno all’evolversi della cristianità, senza però avere mai una specifica ufficializzazione o uno specifico incarico.

Come mai? Lo studio del teologo Jean Daniélou, che ha approfondito l’importanza del Ministero delle donne nella Chiesa antica, apre ai nostri occhi uno scenario assolutamente inaspettato, in pratica nei secoli, la figura femminile ha fluttuato all’interno delle istituzioni clericali prendendo diverse forme a seconda del periodo, del luogo, del momento storico in oggetto. Lo studioso si sofferma sulla presenza femminile a cominciare dalla Chiesa primitiva, quella in cui Paolo Apostolo in persona, sotto forma di consigli utili alla gestione della comunità, definisce i vari incarichi e stabilisce le regole per i vescovi, per i diaconi, per i futuri mariti, per le donne, per i futuri pastori e per gli evangelizzatori, insomma distribuisce compiti e affida incarichi che poi la cristianità ha recepito e fissato come norme da perpetrare nel tempo. Proprio dalle sue lettere, si evince l’importanza della partecipazione femminile alla vita della nascitura comunità cristiana, infatti, nominando e ringraziando varie donne, ci fa intendere che la loro presenza fosse una nota costante all’interno della neonata koinonia.

Ringrazia pubblicamente Febe, come servitrice della ecclesia (ovvero l’assemblea dei fedeli), ringrazia Priscilla e Maria, per il loro supporto ed anche Perside, Trifena e Trifosa per il loro lavoro. Nomina Evodia e Sintiche per la loro collaborazione ringraziandole per il contributo dato all’evangelizzazione, insomma ci conferma che le donne erano un punto fisso della comunità, forse contavano qualcosa e, chi più chi meno, ognuna di loro rivestiva un ruolo, forse solo organizzativo come quello di ospite che metteva a disposizione la propria casa per le necessità della comunità. Ruoli semplici che comportavano per esempio la gestione e la distribuzione degli alimenti o la cura dei più poveri, sta di fatto che avessero sicuramente un compito specifico, addirittura per le ultime due, si sottintende anche un ruolo relativo all’istruzione dei nuovi catecumeni e alla “collaborazione all’annuncio della buona novella” e quindi immagino non sia necessario ammettere che abbiano avuto incarichi da “catechiste” ante litteram. Uno scritto di un monaco anonimo del primo secolo, riportato da Tertulliano, descrive Tecla di Antiochia che personalmente istruisce Trifena e le sue serve per otto giorni, evidenziando il fatto che la missione di apostolato al femminile fosse prevista fin dai primi tempi, addirittura nello specifico abbiamo uno scritto di Clemente d’Alessandria che conferma:  «Gli apostoli, applicandosi senza posa all’evangelizzazione (kh,rugma) conformemente al loro ministero (diakoni,a), prendevano con loro delle donne, che erano non delle spose, ma delle sorelle, per essere loro collaboratrici (sundiako,nouj) presso le donne che restavano a casa: per mezzo di esse la dottrina (didaskali,a) del Signore penetrava nelle stanze delle donne (gunaikwni/tij) senza dare luogo a sospetto».

Insomma, per diffondere la Parola nel mondo femminile si ricorreva alla collaborazione di donne catechiste, per evitare di incorrere in “ambigui” incontri misti che potevano essere male interpretati. Dobbiamo comunque sempre ricordare, che bisogna saper leggere i segni dei tempi e che purtroppo, la donna, in quei tempi, non contava un fico secco: veniva data in sposa senza il suo consenso, non poteva parlare pubblicamente, né votare o avere voce in capitolo, senza parlare del fatto che raramente aveva accesso all’istruzione. Sentite come lo sottolinea sempre il solito Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, in un passaggio che sembrerebbe contraddire nettamente il precedente: «Come si fa in tutte le Chiese dei santi, che le donne tacciano nelle assemblee. Non è loro permesso di parlare, ma che siano sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono istruirsi su qualche punto, che interroghino i loro mariti a casa, perché è vergognoso per una donna di parlare nell’assemblea» (14, 34-35).  In questa altalena micidiale durata venti secoli, la donna ha passato la sua storia appesa alle concessioni che le venivano fatte da chi gestiva il potere temporale e secolare: taci ma istruisci, mi sei utile ma non puoi parlare nelle assemblee, puoi insegnare ma solo dentro le mura di una casa e mai pubblicamente, oppure esattamente l’opposto come nel caso di Santa Caterina da Siena, che pur essendo analfabeta è stata considerata l’ispiratrice della “teologia del cuore” nominata teologa, filosofa e mistica della Chiesa nel 1970 venne anche  dichiarata Dottore della Chiesa.

Come regolarci sulla questione donna nella Chiesa? Difficile a dirsi, anche perché ancora molte porte sono sbarrate per le figure femminili, e come dice la storica e teologa Adriana Valerio in un suo recente articolo: “Nonostante i tanti cambiamenti culturali dei quali siamo partecipi, le istituzioni ecclesiastiche però fanno fatica a accettare le donne in ruoli di responsabilità. Probabilmente perché non si è lavorato abbastanza sulla formazione del clero che a volte, come ha affermato recentemente il cardinale Marc Ouellet, «non ha un rapporto equilibrato con le donne», perché non è stato educato a interagire con loro attraverso scambi e confronti. Occorrerebbe allora una profonda opera pedagogica nei confronti degli uomini che dovrebbero riflettere su di sé e sulla propria mascolinità spesso violenta, sulla difficoltà di accogliere le diversità e fragilità umane e sulla complessità di mettere in comune con l’altro sesso sentimenti e progetti. Dovrebbero apprendere ad amare le donne, riconoscendole come singolarità, accettando di condividere con loro autorità e responsabilità.”

Insomma, tutto questo per dire che alla fine, con grandi sforzi da parte di tutti, pian pianino, soprattutto grazie a Papa Francesco, la donna si è riuscita a ritagliare una fetta sempre più grande all’interno della Chiesa, è infatti grazie a lui che  il processo di valorizzazione femminile all’interno dei dicasteri può considerarsi ormai avviato e consolidato e soprattutto che l’idea della donna possa essere associata ai processi decisionali: donne alla guida del dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, donne nel Consiglio per l’Economia, una donna a capo dei Musei Vaticani, un’altra donna con la carica di sottosegretario nella Sezione dei Rapporti con gli Stati, una alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, senza contare il grande incremento delle docenti nelle Università Pontificie negli ultimi anni. Un dato sottolineato dal sito Vatican News riguarda la presenza della donna, evidenziando: «l’aumento del numero di occupate presso la Santa Sede, cioè la Curia romana con tutte le sue entità che aiutano il Papa nell’amministrazione della Chiesa universale». Ecco, quindi, qui confermata l’idea di processo in evoluzione e di cambiamento all’interno del mondo ecclesiale, in una vecchia intervista di circa dieci anni fa, la prima donna eletta Magnifico Rettore di un Pontificio Ateneo (Mary Melone dell’Antonianum), afferma senza dubbi che: “Secondo me lo spazio nuovo c’è ed è reale. E credo anche che sia irreversibile, nel senso che non è una concessione, ma un segno dei tempi da cui non c’è ritorno”

di Silvia Amadio

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