La vita di Tina Turner diventa documentario

Del passato Tina Turner, oggi signora ottantenne finalmente felice a fianco del marito Erwin Bach, preferisce non parlarne. Sono album di ricordi pieni di alti e bassi, successi inimmaginabili e baratri di depressione.

Il suo sguardo, talvolta perso sul lago di Zurigo dove si affaccia la sua casa, il suo atteggiamento verso la vita, il bilancio che inevitabilmente ne trae, sono proiettati verso la crescita, il superamento degli ostacoli, i traguardi raggiunti. Con lei, nel documentario «Tina», diretto da TJ Martin e Dan Lindsay, in cartellone alla Berlinale e poi in streaming su Hbo, parlano le persone che l’hanno conosciuta bene. Nell’arco di due ore, scandite in cinque atti, «Tina» mette a fuoco una storia esemplare di empowerment femminile, una straordinaria lezione di sopravvivenza, scevra da qualunque ombra di vittimismo e autocommiserazione.

L’epopea della ragazza dalla voce miracolosa si apre sullo sfondo dei campi di cotone dove i genitori lavoravano, nella casa in cui i contrasti spesso brutali, violenti, avevano già impresso nella futura cantante un senso di timore e forte insicurezza. Il primo capitolo, titolo «Ike e Tina», descrive l’incontro, nel ‘57, quando aveva solo 17 anni, con il musicista che poi avrebbe sposato: «La sua era la prima band che avevo visto nella vita. Mi sono innamorata, ero giovane, naif, ho avuto l’impressione che tutto si aprisse davanti ai miei occhi». La potenza della voce aveva colpito Ike, non riusciva a spiegarsi come saltasse fuori da un fisico così esile. Fu con il singolo «A Fool in love» che le porte della musica si spalancarono e per il gruppo si aprì l’epoca d’oro. Quasi subito, però, mentre Tina era incinta, iniziarono anche le violenze domestiche, le botte, gli abusi reiterati: «Avevo paura, ma mi sentivo in qualche modo obbligata a restare lì». Il primogenito Craig,  figlio del  sassofonista Raymon Hill, adottato da Ike Turner, morto suicida a 59 anni, era stato a lungo testimone dei maltrattamenti e la cantante ha sempre attribuito a quell’infanzia difficile le ragioni di un disagio insuperabile. 

Per Tina il cammino verso la liberazione è stato faticoso, lungo e accidentato, c’erano i figli, c’era la stretta collaborazione musicale, c’era il senso di riconoscenza per l’uomo che, per primo, aveva individuato le sue doti.

Il mondo però cominciava a cambiare e Tina, con l’anima ferita, il corpo da pantera, il carisma da rocker, ne stava prendendo coscienza.

Nel 1971 il testo di «Proud Mary» ha il sapore di una premonizione, Ike fa uso sfrenato di droghe, Tina sprofonda nel buco nero della depressione, tenta il suicidio e, nel ‘76, la coppia si separa: «Mi sentivo come un uccello finalmente fuori dalla gabbia, libera di fare tutto quello che volevo».

Il pubblico adorante, i brani di successo, il plauso degli altri artisti dell’epoca, aiutarono Tina a capire esattamente chi fosse. Un’intrattenibile forza della natura, destinata a diventare esempio di un’autonomia guadagnata con fatica.

Il resto, descritto nella seconda parte del film, è storia del rock. Tina che cambia look, Tina «la donna che ha insegnato a Mick Jagger come si balla», Tina «boss di se stessa». Per anni, dopo i concerti con la folla in estasi, cronisti e conduttori televisivi hanno continuato a chiederle di Ike. Una domanda che la riportava indietro, che la obbligava a ricordare il dolore e che, alla fine, l’ha convinta a firmare con il giornalista Kurt Loder l’autobiografia «I Tina My life Story» da cui poi fu tratto il film. Anche se Tina non aveva voglia di rivedere il suo passato fatto di violenza, abusi, brutalità.

Poi nel 2007 a 76 anni, Ike Turner morì e Tina dirà: «Il perdono prende il sopravvento, se non perdoni continui a soffrire, quello che hai vissuto è la realtà, devi accettarla e andare avanti».

Adesso, fasciata nel suo smoking, seduta nel salotto della villa svizzera, Tina sembra aver trovato la pace e, con essa, il desiderio di spiegare come ha fatto a innamorarsi di nuovo: «Erwin era così bello, appena l’ho visto, il mio cuore ha avuto un colpo. Era così diverso, affettuoso, tenero. Avevo bisogno di amare, l’amore è un sentimento che fa stare bene».

Una donna che tra alti e bassi è riuscita a trovare il suo equilibrio, quella serenità tanto anelata, che come una tigre inferocita ha tentato, riuscendoci, a risorgere, a tornare a galla, ad elaborare i suoi dolori, le sue perdite, le sue sconfitte, i fantasmi del passato. Un esempio di caparbietà e determinazione quando a vincere è l’amore per la vita.

di Stefania Lastoria