Lo spazio geometrico poetico di Gualtiero Savelli

La domanda sul perché esista qualcosa e non il nulla dà per scontato che per “qualcosa” si intenda tutto quell’insieme di oggetti e corpi che chiamiamo mondo. Eppure anche il pensiero è qualcosa, sebbene non si configuri come un corpo, un oggetto tangibile. Potrebbe, infatti, esistere solo il pensiero, nella sua pura astrazione meditativa, senza alcun oggetto attorno.  Scriviamo questo in relazione a un maestro dell’arte astratta contemporanea in questi giorni in mostra a Roma, Gualtiero Savelli.

D’altronde per molta umanità – per secoli e ancora oggi – prima dell’oggetto mondo c’era esattamente solo questa forma di pensiero. Un pensiero divino. Unpensiero di pensiero, scrive Aristotele. Autoalimentantesi e dunque auto espandentesi in galassie di speculazioni sempre più vaste, abissali, vertiginose. Nell’atto stesso di porsi tale pensiero non può fare a meno, ha cioè necessità di porre anche lo spazio. Uno spazio entro cui svolgersi, darsi un ordine, una forma, configurare le mille e una galassia di immaginimentali. Non solo pensiero di pensiero – aggiungeremo noi – ma immediatamente anche spazio di pensiero. E se per il grande filosofo greco di Stagira quel pensiero è “la più divina delle cose che si manifestano fra noi”, noi non dovremmo allora dubitare che quello spazio tessa, proprio in noi, la materia mentale inintelligenza poetica d’immagine.

La grande lezione di astrattismo pittorico contemporaneo che Gualtiero Savelli svolge attraverso la sua opera orbita proprio attorno a un’ontologia o logica originaria dello spazio che emerge dal fondo bianco della sua tela quale forma di geometria in stile d’arte. Non è lo spazio tradotto, traslato in immagini astratte, ma lo spazio improvvisamente svelato nella sua originaria, abissale necessità di essere solo immagine pittorica d’arte. Non possono darsi oggetti, corpi, suoni, parole, mondo, senza prima questa pura vertigine logica che disloca lo spazio nudo, silenzioso tra le pieghe, gli angoli, le cuspidi, i cromo-orizzonti degli eventi di un’architettura che è anche un’archeologia, una genealogia di immagini sepolte, stratificate nella memoria immane dell’Universo.

La messa in tela, in forma, in scena, in abisso delle equazioni pittoriche savelliane restituisce così l’inedita rammemorazione di piani, intersecazioni prospettiche, campiture di figure e colori piramidali poste in equilibri che si squilibrano, di matrici che precipitano in gole senza fondo ma che si sventagliano poi in meridiane, puntali di bussole astrali che squarciano galassie, costellazioni nascoste la cui mappa astronomica è costituita da sentieri algebrico-poetici che conducono da una zona all’altra di uno spazio originariamente estetico, estatico. Il movimento che comunica sia la bidimensionalità pittorica, sia la tridimensionalità delle sculture savelliane, sta innanzitutto in questo espandersi del suo pensiero dentro i labirinti concatenati della bellezza non in quanto arbitrio, artificio, ma in quanto precisione dell’immagine e del sentimento etico del bello in noi.

Non solo i quadrati di Savelli si rettangolizzano, e viceversa, in questa figura gravitazionale da lui dissepolta dalle profondità geo-spaziali, il carréntangle, crasi di carré e rectangle nella lingua francese, ma in una sua recente opera è la stessa bidimensionalità a torcersi, ruotare in tridimensionalità. L’opera ha il titolo di Cut and twist, ossia Taglia e torci. Nel 1949 Lucio Fontana opera il suo celebre taglio su una tela per mostrare la tridimensionalità sotto il piano bidimensionale. La successiva riflessione e ricerca artistica di Savelli conduce a un passo tanto consequenziale quanto cruciale, ossia al taglio e alla torsione dei punti e delle linee che costituiscono il piano. Abbiamo così uno sviluppo necessario dal piano detto a curvature fondamentali zero, verso quella curvatura contemplata dalla geometria differenziale, applicata nella teoria generale della relatività di Einstein, al fine di modelliazzare matematicamente lo spazio-tempo. Quello compiuto da Savelli in Cut and twist, è un gesto-svelamento, perché la faccia relativistica della mera bidimensionalità piatta è restituita per una via squisitamente e suadentemente artistica. Ossia per mezzo di quella rigorosa logico poetico-esistenziale che guida il drammatico umano a svelare la silenziosa certezza del bello geometrico originario in noi.

L’ultima mostra di Gualtiero Savelli reca il proprio il significativo titolo La pittura, tra le pieghe del silenzio. È ospitata nella Galleria “Arte e Pensieri”, in Via Ostilia 3a, a Roma, dove si può visitare, dal mercoledì al sabato ore 16/20, fino al 28 ottobre 2018.

di Riccardo Tavani

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