Non c’è pace tra gli olivi

Se si prende un ideale compasso, lo si punta sulla città di Lecce e si traccia un semicerchio verso Sud, si raggiungono i lidi e le città più belle del Salento: San Foca, Otranto, Santa Maria di Leuca, Gallipoli, Porto Cesareo: “Lu Salentu: lu sule, lu mare, lu ientu”. Mare, clima, spiagge, monumenti, gastronomia, tutto concorre ad attirare migliaia di persone ogni anno nella parte meridionale del tacco d’Italia, tra l’Adriatico ad Est e il Mar Ionio ad Ovest. Tra una costa e l’altra l’entroterra del Salento era (fino a qualche anno fa) un enorme sconfinato bellissimo uliveto. 

Oggi non c’è strada salentina che parta da Lecce e arrivi al mare che non parli di desolazione. Della verde distesa degli olivi  non restano che filari di piante morte. Il panorama dell’inerno salentino è spettrale, post-apocalittico. Gli orologi biologici degli olivi si sono fermati al 2013, con l’arrivo della Xylella fastidiosa, un batterio che ha colpito un’area di circa 750mila ettari di superficie, causando il disseccamento e quindi la rapida morte di milioni di piante di olivo, con enormi danni al settore olivicolo-oleario. Molte le affinità con il Covid-19. Si è diffuso in modo impevedibile e rapido causando la “peggior emergenza fitosanitaria al mondo”. E come il Covid-19 è stato sottovalutato. 

Ma come è arrivata la Xylella  nel Salento? Si suppone che il «paziente zero» sia stata una pianta ornamentale di caffè (o un oleandro) proveniente dal Costa Rica, via Olanda. Questo batterio viene trasmesso da un insetto noto come sputacchina (Philaenus spumarius), attacca i vasi xilematici della pianta ostacolando il passaggio dell’acqua e causando così l’avvizzimento. Si comincia con un rametto secco, poi via via tutta

la pianta muore. Nel Sud d’Italia la Xylella ha  trovato condizioni climatiche favorevoli, ma oltre al fattore ‘sorpresa’ che ha reso complicato intercettare il patogeno ed intervenire sui primi focolai, la malattia è stata favorita dalla vulnerabilità del nostro sistema agricolo, dal progressivo depotenziamento dei servizi fitosanitari e da un surreale dibattito pubblico con tanto di tesi negazioniste e complottiste da parte di chi sosteneva la «truffa della Xylella», che cioè non vi fosse nessuna prova che il batterio fosse la causa del disseccamento degli olivi pugliesi. 

Gli olivi sono piante centenarie, sono storia, ricchezza, eredità, cultura che appartiene ad ognuno di noi. Gli olivi ci sono compagni fin dall’antichità. Alla fine del diluvio universale una colomba tornó sull’Arca recando nel becco un ramoscello d’olivo. Era d’olivo il gigantesco tronco che Ulisse usò per accecare Polifemo. E sempre Ulisse scavò in un tronco d’olivo il letto matrimoniale per sè e per Penelope, simbolo di una unione salda e duratura. Gesù scelse il Monte degli Ulivi per trascorrere le ultime ore prima della Passione. Ogni domenica delle palme i fedeli si presentano in chiesa con un ramoscello di olivo  per farlo benedire in segno di pace e ancora oggi si regala una pianta d’olivo a chi costruisce una nuova casa. 

Le piane del Salento sono ridotte a distese di tronchi d’olivo dai rami nudi, secchi, senza più una foglia, ancora in piedi perché persino tagliarli ha un costo rilevante. Qualche pianta viene data alle fiamme di notte. (Bruciarla sul posto costa meno che farne legna da fuoco). I danni della xylella sono forse quantificabili dal punto di vista economico, ma non da quello paesaggistico e, soprattutto, sentimentale. Se una vigna in tre anni riparte e un frutteto si riprende in poco tempo, un uliveto muore per sempre. E con lui anche un poco di noi. 

di Daniela Baroncini
 
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