MI DISPIACE… MA IO SO’ IO E VOI NON SIETE UN C….!

Il 21 gennaio 1831, Giuseppe Gioacchino Belli scrisse il seguente sonetto, intitolato “Li sovrani der monno vecchio”

C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
Mannò ffora a li popoli st’editto:
“Io sò io e vvoi nun zete un cazzo,
Sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
Pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà, nun ve strapazzo,
Ché la vita e la robba Io ve l’affitto.

Chi abbita a sto monno senza er titolo
O dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
Quello nun pò avé mmai vosce in capitolo.”

Co st’editto annò er boja pe ccuriero,
Interroganno tutti in zur tenore;
E arisposeno tutti: È vvero, è vvero.

Lo stesso Belli, nella sua introduzione alla raccolta dei sonetti, riguardanti quasi esclusivamente quella plebe ignoranteche amava e che considerava in gran parte concettosa ed arguta, disse che io ne ritraggo le idee col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppure romana, ma romanesca.

Problemi linguistici a parte, emerge nel Belli una satira di sistema velenosa, rapportata alla consapevolezza di non vedere alcun margine di redenzione in un sistema basato su una ferrea suddivisione in classi imperanti ed in ceti sottomessi, ma che lascia anche intravedere la necessità di una democratica ricerca della libertà di pensiero e di azione. Una visione ed una ricerca che nella prima metà dell’Ottocento era condivisa anche dal pensiero liberale se è vero che anche John Stuart Mill scrisse nel 1859, nel suo Sulla libertà, “Dovunque vi sia una classe dominante, la morale del paese emana, in buona parte, dai suoi interessi di classe e dai suoi sentimenti di superiorità di classe.” Ma la stratificazione di classe del popolo romano del XIX secolo e la sua capacità di rapportarsi alla storia ed al sistema di potere dominante non avevano ancora permesso una chiara e piena presa di coscienza di quella plebe ignorante e nemmeno delle classi sociali che navigavano appena sopra la cresta dell’onda popolana e che continuavano a rispondere, come scrisse il Belli: “È vvero, è vvero.”

I principi della rivoluzione francese non erano riusciti ad intaccare la struttura clerico-nobiliare e dopo il breve periodo della Repubblica Romana Mastro Titta, o chi per lui, aveva ripreso la sua attività.

Scriverà Gramsci: “La Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire una classe ad un’altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassati.”

E come potrebbero essere sorpassati? Dopo il 25 luglio e l’8 settembre del 1943 i nostri nonni ed i nostri padri cercarono di sorpassarli salendo in montagna e versarono sangue giovane ed innocente in nome della democrazia e della libertà. L’epilogo è noto a tutti ed il fascismo fu sconfitto! Ma oggi? Come affrontare una situazione che non ha certamente gli stessi connotati di quella prodotta dalla struttura sociale e politica di circa tre quarti di secolo fa? Oggi, purtroppo, non c’è stata redenzione e non è cambiata la stratificazione sociale. Anzi, secondo le stime degli analisti economici, i ricchi sono sempre più ricchi ed il numero di chi scivola verso la povertà è in continua e costante crescita. I detentori di immense masse di capitali sono diventati sempre più potenti e sono sempre più totalmente proprietari di tutti gli strumenti atti al controllo ed all’orientamento del pensiero della grande massa degli ultimi e dei penultimi che ormai si stanno avviando verso il fondo della classifica, lasciando un solco sempre più netto tra chi ha e chi non ha niente.

Sembrerà strano ma stanno nuovamente furoreggiando alcuni attuali epigoni, pur senza che abbiano le stesse qualità e le stesse virtù, del leggendario Marchese del Grillo, che oggi ci presentano il volto più ottuso, o anarchico (per dirla con Pasolini), del potere, di quel potere che fa praticamente quello che vuole. Ignorano, perché non l’hanno mai imparato, che la prima arte che debbono padroneggiare quelli che aspirano al potere è essere capaci di sopportare l’odio! Per loro Seneca è vissuto invano e preferiscono pensare che, detenendo il potere, possono fare quello che vogliono, possono ricorrere a quella anarchia di pasoliniana memoria e continuare a pronunciare la frase magistralmente declamata da quel grande che fu Alberto Sordi. Ma loro non sono nemmeno Ricciotto, il servitore del Marchese del Grillo. Noi allumieraschi abbiamo avuto splendidi padri che ci hanno insegnato come difenderci da quelli che si sentivano “Io so io e voi non siete un….” e che avendo appreso perfettamente la lezione gramsciana “ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare”, hanno dimostrato che quelli che volevano sentirsi al di sopra delle leggi potevano essere sconfitti. La volontà democratica – la nostra storia lo testimonia – può superare e sconfiggere qualsiasi populismo. Così è stato in passato e così continuerà ad essere.

di Pietro Lucidi