Cine-pillole di fine anno al galoppo di Omicron
Annette. Musical. La potenza del dionisiaco, del caotico e comico-dissacrante in Henry non riescono a fondersi con la forma, l’equilibrio artistico, canoro dell’apollineo in sua moglie Ann. Annette nascendo eredita il sublime della madre, ma approfondisce l’attrazione del padre per l’abisso. È la nascita e la continuazione della tragedia, secondo quanto già codificato dal filosofo Nietzsche, ma nelle forme di un cinema poco accomodante e anzi decisamente dirompente nei toni e nei colori.
Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto. Commedia. Inevitabilmente ad effetto di minor sorpresa rispetto al primo, ma con una buona progressione di situazioni nuove e fuochi d’artificio finali. Sempre bravi e trascinanti Paola Cortellesi, Antonio Albanese e tutto il cast ben diretto dal regista Riccardo Milani.
Mulholland Drive. Noir. Imperdibile riproposizione del capolavoro di David Lynch. Il regista entra nel più classico dei generi cinematografici americani e ne sconvolge le regole, mantenendone gli stilemi, ma esasperandoli in tutta la loro potenzialità estetica e drammatica. Punta, infatti, più all’esito artistico che a quello a quello dell’intrigo giallo su cui da vent’anni si spaccano vanamente la testa spettatori, critici ed esegeti.
Dune. Fanta-dramma-scienza. Remake firmato Denis Villeneuve molto più drammaticamente ed esteticamente convincente del pur valido film diretto nel 1984 da David Lynch. Tratto dalle 700 pagine del romanzo di Frank Herbert si racconta delle insidie e degli intrighi nella spietata lotta per il dominio dell’impero astrale e di un popolo libero che resiste tra le dune di un pianeta minacciato da essere mostruosi ed espropriato delle sue risorse. Grande regia e direzione di un cast stellare.
L’Arminuta. Drammatico. Il significato nel dialetto abruzzese del titolo è restituita, ritornata, ma contro la propria volontà, con sordida, oscura violenza. È la storia di una adolescente che si trova dall’oggi al domani estromessa dalla propria famiglia, dalla propria città per essere consegnata a quella che gli viene detto essere la propria vera, misera famiglia d’origine, in un paesino e in un ambiente ostile. Tratto dall’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, il film non riesce ad essere all’altezza dell’opera letteraria. Serviva una mano registica più consapevole per trovare un corrispettivo immagini della pagina scritta.
La persona peggiore del mondo. Dramma di costume. Il titolo sembra ispirarsi a quello dell’opera di Robert Musil, L’uomo senza qualità. ‘Qualità’ nel senso di caratteristiche, connotazioni. La protagonista della vicenda, infatti, mostra non averne di così spiccate. Oscilla nella scelta degli studi, del lavoro, con inevitabili ripercussioni anche nel campo erotico e sentimentale. A tratti, però, anche il film oscilla in tale indeterminatezza. Renate Reinsve Migliore attrice al Festival di Cannes 2021.
Qui rido io. Comico-drammatico-storico. Il regista Mario Martone ricostruisce una pagina poco conosciuta, eppure fondamentale nella storia del teatro napoletano e italiano. È la vicenda artistica ed esistenziale di Eduardo Scarpetta, una figura di capocomico-patriarca che fa evolvere la scena popolare partenopea dalla maschera di Pulcinella alla ‘macchietta’ di Felice Sciosciammocca. Prolifico non solo di commedie, ma anche di relazioni extraconiugali e di figli, Scarpetta scaraventa al mondo e sulla scena tre figli illegittimi che evolveranno il suo teatro, conducendolo definitivamente al tramonto. Sono Eduardo, Titina e Peppino De Filippo. Poco conosciuta anche la tormentosa controversia giudiziaria che oppose Gabriele D’annunzio a Scarpetta, per la sua parodia comica della tragedia del Vate La figlia di Iorio. Una controversia cui presero parte su fronti opposti numerosi intellettuali di rilievo cittadino e nazionale. Tra essi il poeta Salvatore Di Giacomo per D’annunzio, e il filosofo Benedetto Croce – autore anche di un saggio sui teatri napoletani – per Scarpetta. Toni Servillo gioca e ride qui in casa con una prova che attinge alle sue stesse radici d’attore di cinema e teatro.
Freaks Out. Drammatico favolistico. Un po’ bastardi senza gloria, alla Tarantino, un po’ saltimbanchi sulla strada alla Fellini, un gruppo di scalcinati circensi arriva nella Roma occupata dalle truppe naziste. Quattro di essi sono dotati di poteri fuori del comune che li portano a scontrarsi direttamente proprio con il più micidiale degli ufficiali occupanti. Il regista Gabriele Mainetti elabora una trama narrativa e un incalzante intreccio di immagini travolgenti e convincenti. Proprio come un vero capocomico d’una compagnia ambulante riesce anche a ottenere il meglio dai suoi attori.
Nowhere Special – Una storia d’amore. Teneramente drammatico. La storia d’amore e quella tra un padre e il suo piccolo figlio che deve lasciare. Il regista Uberto Pasolini torna sul tema della morte già così struggentemente e delicatamente affrontato nella sua precedente opera Still Life, premio per la Miglio Regia al Festival di Venezia 2013. Non riesce però qui a eguagliare quel sorprendente esito, sia sul piano del racconto, sia su quello più squisitamente cinematografico delle immagini.
Tre piani. Drammatico. La vicende di tre famiglie che abitano in una palazzina di tre piani, che sono anche tre diversi ma intrecciati piani esistenziali. Non era facile trasferire a Roma e tradurre in immagini dell’attualità nazionale le pagine di un romanzo ambientato a Tel Aviv, ossia nel cuore della cultura ebraica contemporanea. L’esito non pienamente riuscito del film lo dimostra. L’opera, però, potrebbe essere considerata come l’inizio di una svolta di stile e poetica nella produzione di Nanni Moretti. E i prodromi allora li dobbiamo vedere nella seconda parte del film, dove tonalità emotive e di luci più autentiche prendono vita sullo schermo.
Re Granchio. Drammatico cantastorico. Un gruppo di contadini della Tuscia rievocano le disperate gesta ottocentesche di un santo bevitore, ubriacone, sfaccendato, figlio del medico del posto che sfida la prepotenza di un principe locale e della cui promessa sposa, ricambiato, è innamorato. È costretto però a fuggire all’altro capo del mondo, dove si mette alla ricerca di un mitico lago popolato di granchi che indicherebbero il luogo di un tesoro sepolto. Lo prima parte della vicenda ha uno stile di radice etnografica-dialettale e favolistica alla Lazzaro Felice, mentre la seconda si sposta sul tono picaresco fracassato, a tratti grottesco. Il tutto tra la parentesi aperta da una scena identica a quella di chiusura che svela anche il senso di tanto vano allontanarsi e patire nel mondo.
One Second. Epicamente drammatico. La vicenda di due laceri personaggi, una ragazza e un uomo, che si inseguono e si contendono per motivi contrastanti il possesso di una pellicola del cinegiornale che deve essere proiettata nel villaggio di una sperduta provincia cinese sul limitare del deserto. L’one second, ossia il secondo di tempo cui si riferisce il film è la durata di un cruciale fotogramma dentro la pellicola. Pieno di più o meno esplicite citazioni della storia del cinema mondiale, è un vero atto d’amore e dichiarazione di stile, poetica nei confronti del cinema quale particolare assetto che assume la realtà per esprimersi al suo massimo grado. Ostacolato dalle autorità del suo paese, solo ora l’opera riesce ad arrivare sui nostri schermi, anche se in maniera inspiegabilmente ridotta. Anche per questo non è assolutamente da perdere.
È stata la mano di Dio. Drammatico biografico. Dopo molti anni, il regista Paolo Sorrentino riesce a trasporre sugli schermi la sua dolorosa vicenda famigliare. Vicenda, però, che è stata anche all’origine della scelta di lasciare Napoli per Roma, ossia per il cinema. Pur la nella tragicità del fatto, un ruolo salvifico lo gioca la ‘mano di Dio’ del titolo. È quella del celebre goal rubato all’Inghilterra da Diego Maradona nei mondiali di calcio del 1986. Dopo una prima sfilata di personaggi e situazione sopra le righe, comiche, volutamente ostentate in stile e omaggio a Fellini e altri autori, la seconda parte si fa più raccolta, intima e mette in scena lo smarrimento, la passione del giovane protagonista che prende le sembianze di una avvenente, mitologica eppure fragile zia. Proprio così come sono la bellezza e l’arte stessa nel loro apparire, mostrarsi e fuggire. Sorrentino rivisita quel tempo storico e interiore, cercando e filmando immagini di Napoli che lo restituiscano anche a noi nel suo valore esistenziale più ampio.
House of Gucci. Drammatico storico. Ascesa e declino della famiglia Gucci. Patrizia Reggiani entra quasi di straforo nella famiglia titolare di uno dei più prestigiosi marchi di moda italiani nel mondo e ne diventa subito indiscussa protagonista, dopo il matrimonio con l’ancora indeterminato rampollo Maurizio. L’alta capacità registica di Ridley Scott è fuori discussione e qui si vede bene, nel taglio delle inquadrature, nelle sequenze e nel montaggio. Non è questo e non vuole, però, essere questo un film d’arte. È un’opera che ricostruisce per il grande pubblico mondiale una vicenda, nonostante tutto poco conosciuta, soprattutto nei sui dettagli. Con scenografie d’adeguata alta classe, e cast d’attori di livello, con un’interpretazione febbrile di Lady Gaga e più misurata di Adrian Driver, ma entrambe al meglio.
Spider Man – No Way Home. Fanta-fumetto. Siamo nell’era del Meta-verso nei social, e non potevamo dunque che trovarci nel Multiverso, ossia nell’insieme degli universi paralleli con uno dei più osannati personaggi di casa Marvel. Non solo Spider-Man, ma anche i suoi più accaniti nemici si trovano triplicati. Questo a causa di un fallito tentativo del Doctor Strange di sistemare lo squilibrio creatosi con lo svelamento a tutto il mondo di Peter Parker quale vera identità dell’Uomo Ragno. Spiegazioni scientifiche, astrofisiche si rincorrono con una tale velocità di esposizione che è inutile stare loro dietro per tentale di capirle. Tanto, poi, tutto si risolve più a colpi di vecchi cari pugni, acrobatiche gomitate, iperbolici calci in bocca e alle palle, che con le ultra tecnologiche armi spaziali. Un grande attore d’arte come Benedict Cumberbacth nei panni di Doctor Strange, il quale – ci annuncia un trailer alla fine degli sconfinati titoli di coda – ritornerà.
Il potere del cane. Post western. Jane Campion veste il Montana del 1925 con i paesaggi della sua Nuova Zelanda. Phil e George Burbank sono due fratelli, due possidenti di terre e di bestiame, con modi di pensare, agire, vestire, dormire, lavarsi, i quali vivono però in un equilibrio perfetto, finché, durante uno lungo spostamento di bestiame, non si fermano a mangiare con tutti i loro cow-boy in una locanda sul percorso. George s’innamora di Rose, la locandiera e quasi immediatamente la sposa, portandola con sé nel ranch in cui vive con il fratello. Rose ha anche un figlio, Peter. Il ragazzo sembra avere modi effemminati, e comunque è più dedito agli studi che alla ruvida vita e agli ideali selvaggi della vita a cavallo. Cosa che Phil non può proprio sopportare tra le mura della sua casa e intorno ai recinti del suo bestiame. Phil infatti vive nel ricordo di Bronco Henry, un mitico mandriano che gli ha insegnato tutto sui comportamenti di un vero uomo del west. Comincia una sfida aperta, a tratti brutale da parte di Phil, e sottile, tenace da parte di Peter per non farsi sopraffare. L’elemento dell’attualità è proprio la critica al machismo, al potere patriarcale che si cela dietro l’attaccamento alla purezza di certe tradizioni, fino a negare anche a sé stesso i veri propri sentimenti e pulsioni. Benedict Cumberbatch mostra qui tutta la sua capacità e versatilità d’attore, ma anche gli altri interpreti non sono da meno. Leone D’Argento per la Miglior Regia, Venezia 20121. Un film per essere candidato agli Oscar deve essere stato nelle tradizionali sale cinematografiche. Il fatto che questo sia uscito contemporaneamente sia su Netflix, sia in sala dimostra che si candida a portarsi via almeno una statuetta d’oro.
Don’t look up. Fanta-real-scientifico. Un film talmente importante che vi abbiamo dedicato le precedenti Cronache dal Sottosuolo, con il titolo La Cometa Dentro. Un ricercatrice e un professore rivelano l’avvicinarsi di una cometa di circa nove km quadrati che si sta tanto pericolosamente avvicinando alla Terra che in sei mesi, una manciata di giorni e di ore la colpirà, distruggendo la vita sul pianeta. Il film è girato in chiave di commedia e di satira contro i vertici della politica, dei mass e social media. I contenuti, però, sono maledettamente seri. Soprattutto contro quel nido di webmiliardari che realmente stanno già attuando – nella concreta realtà del nostro presente – altrettanto concreti progetti di dominio spaziale. Grande interpretazione di Jennifer Lawrence e di un quasi irriconoscibile Leonardo di Caprio. Imperdibile. In sala e su Netflix. Ossia – come detto prima – anche, anzi, soprattutto questo punta a portarsi via diverse statuette ai prossimi Oscar.
Illusioni perdute. Drammatico storico-letterario. Honorè de Balzac, uno dei più grandi scrittori francesi d’ogni tempo, pur essendo un coriaceo conservatore era considerato e studiato dal rivoluzionario comunista Karl Marx quale miglior penna capace di far comprendere i tempi storici e le situazioni, le tensioni sociali che narrava. E il romanzo da cui è tratto questo film lo dimostra inequivocabilmente. E la versione cinematografica – nella dinamica regia di Xavier Giannoli – si dimostra all’altezza dell’autore e dell’opera letteraria. Si racconta della vicenda di un giovane di provincia, lavorante nella tipografia di famiglia, ma aspirante poeta. È sostenuto da una nobildonna del luogo che ne è anche l’amante. Trasferitosi a Parigi si trova scaraventato nel rutilante mondo del giornalismo nato subito dopo la Rivoluzione Francese. Un giornalismo d’assalto, di ricatto, di condizionamento a pagamento della politica, dell’arte, del teatro, e di sberleffo contro i sopravvissuti ambienti nobiliari e i loro tentativi di restaurazione. Per rende efficacemente il ritmo febbrile, convulso, i rovesciamenti di fronte, il vortice di canard, ossia di notizie false, con uno stile di riprese e montaggio, improntato anch’esso alla velocità, al dinamismo delle scene, all’affollamento delle strade e degli ambienti, stracarichi di oggetti, arredi, persone che si menano fendenti di battute, botte e risposte feraci, quanto salaci. Il problema non è tanto scalare il vertice di tale ambiente, quanto non farsi poi scaraventare di sotto.
di Riccardo Tavani