Gladys Mukaratirwa e le bambine che non vanno a scuola

La fabbrica è poco più di una grande stanza, ci sono pezze di stoffa da una parte e dall’altra i prodotti finiti.

Subito salta all’occhio l’ordine, la pulizia e la meticolosità con cui le operaie confezionano ogni singolo pezzo, sagomano sulla stoffa la forma di un assorbente femminile, la imbottiscono, la ritagliano e la cuciono.

Creano assorbenti.

Tutto questo accade a Chiedza Community Welfare Trust, nel distretto di Mutasa, nell’est dello Zimbabwe, da questa fabbrica escono 50mila pezzi al mese. A gestire e sovrintendere tutte le fasi della lavorazione c’è una donna dal fisico imponente, occhiali scuri e capelli ricci. Si chiama Gladys Mukaratirwa ed ha 60 anni. Gladys è stata un’insegnante e ora ha un altro scopo nella vita: dare un’opportunità alle donne e alle ragazze del suo villaggio, in una zona montuosa e rurale del Paese, quasi al confine con il Mozambico. Ci si potrebbe chiedere perché creare una fabbrica di assorbenti riutilizzabili ma come sempre tutto va contestualizzato.

Si tratta di dispositivi sanitari che in questo caso hanno un ruolo nell’emancipazione femminile in quanto permettono alle studentesse più povere (che sono la maggioranza), di non perdere giorni di scuola o addirittura abbandonarla a causa del ciclo.

«Negli anni Duemila – racconta Gladys – molte bambine sono rimaste orfane a causa dell’epidemia di Aids. Molti dei mariti che lavoravano in città morivano, poi si sono ammalate le mogli. Con il centro femminile che avevo fondato dieci anni prima, abbiamo iniziato a nutrire, ospitare ed educare gli orfani. Pur avendo pagato la retta scolastica a circa 100 ragazze, avevo notato che i loro risultati scolastici non erano affatto soddisfacenti. Qualcuna perdeva molte lezioni, altre abbandonavano definitivamente. E tutto questo perché non avevano soldi per comprare gli assorbenti e, se andavano a scuola con i tamponi rudimentali che usavano le loro madri, stoffe imbottite di letame essiccato o di foglie secche, si sporcavano e venivano prese in giro dai maschi. Così era per loro preferibile stare a casa dai 2 ai 5 giorni al mese per un totale di 45 giorni di lezioni perse all’anno».

Fu così che le donne del Centro femminile si resero conto che i bisogni erano più ampi del recinto dell’orfanotrofio e nel 2013 fondarono una società, la Chiedza Community Welfare Trust, di cui Gladys è la direttrice.

Forte dei suoi studi in economia domestica e scienze, Gladys cercò il tessuto più adatto e iniziò a produrre assorbenti riciclabili in confezioni da 5 (due per la notte, tre per il giorno), utilizzabili per 18 mesi.

«Si lavano e si asciugano al sole – spiega lei – il sole è il più potente antibatterico. Abbiamo visto che le assenze delle alunne sono diminuite», conclude Gladys.

Oggi il Chiedza Community Welfare Trust è uno dei pochi produttori di assorbenti che rispettano le normative nazionali e che quindi hanno la licenza statale. Lo standard qualitativo e la fascia di prezzo rendono i loro prodotti competitivi, tanto che le Ong ne comprano a migliaia per distribuirli nelle scuole di tutto il Paese. Da decenni Gladys cerca ogni mezzo per aiutare le donne del suo distretto.

Nell’edificio che oggi ospita la fabbrica, negli anni Novanta c’era un laboratorio in cui decine di donne producevano pagnotte da vendere al mercato, poi tessuti batik da vendere ai turisti in visita alle cascate Victoria.

Non sempre le cose sono andate bene ma questa donna straordinaria spronava queste donne e diceva loro che prima o poi lì ci sarebbe stata una grande fabbrica, ancora non aveva in mente di cosa ma sapeva che così sarebbe stato, avrebbe dato lavoro a molte donne facendo allo stesso tempo qualcosa di utile per gli ultimi, i più bisognosi, per tutti coloro del villaggio che avessero bisogno di ogni genere di bene o servizio.

Poi ci fu l’epidemia di Aids e l’edificio divenne un orfanotrofio. Ma poco alla volta, con la forza, la costanza e la determinazione di Gladys, la “grande fabbrica” è stata costruita.

E ciò che producono, incredibile pensarlo per una donna occidentale, sono assorbenti riciclabili che permettono alle ragazze di fare un primo passo verso l’emancipazione femminile, affrontando serenamente il “problema” che impediva loro di accedere all’istruzione. Altro fondamentale passo per riscattarsi come donne, con la conoscenza, la cultura e l’indipendenza economica e personale.

di Stefania Lastoria

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