Fuggiti da Kabul e Teheran. «Ma in Italia non c’è posto»
Ciò che segue, è il racconto di famiglie di passaggio a Milano, dopo aver attraversato fiumi gelidi e boschi impervi per raggiungere la Germania, un viaggio verso la speranza, verso una vita degna di tale nome.
La piccola Ramez saltella felice mentre prova un pile pulito che le viene procurato da una volontaria. Ha solo otto anni e dopo più di tre settimane di viaggio dall’Afghanistan si ritrova in una sorta di scantinato di fortuna dell’associazione Rete Milano, che in zona Lambrate fa da ricovero d’emergenza e deposito di vestiario per i profughi. Un posto che le sembra un piccolo paradiso, un incanto, forse persino un sogno.
Le sue lunghe trecce nere si agitano nell’aria mentre guarda sua madre, i fratelli e un paio di cugini – sette persone in tutto – indossare finalmente vestiti caldi, puliti e scarpe quasi nuove addirittura, al posto delle ciabatte che uno dei ragazzi calzava all’arrivo in stazione Centrale.
Ramez e la sua famiglia sono solo una parte dei migranti che arrivano ogni giorno a Milano dopo aver percorso la “rotta balcanica” dalla Turchia. Un flusso che in queste settimane si è molto intensificato per le sempre più numerose partenze proprio da Afghanistan e Iran, dove i due regimi integralisti stanno chiudendo ogni residuo spazio di libertà e, in particolare a Teheran, conducendo una violenta repressione con torture e condanne a morte di chi manifesta per i diritti delle donne e di tutti i cittadini.
Ci racconta il fratello maggiore di Ramez che non è più possibile vivere a Kabul, troppe regole, troppa oppressione, poco lavoro e quasi nulla da mangiare.
Si parte per questo anche se è inverno, anche se fa freddo, si è consapevoli di affrontare un viaggio difficile all’inizio, peggiore nelle tappe intermedie dalla Bosnia in poi. Ci sono i pericoli del percorso, i fiumi gonfi e freddi, con l’acqua fino alla vita e la bambina in braccio. Si ha paura, ammette. Perché a tutto questo si possono aggiungere le violenze di gruppi paramilitari e secondo alcune testimonianze, della stessa polizia croata.
Durante il “game”, com’è chiamata questa parte del viaggio, infatti, non è raro imbattersi nei cadaveri di chi è morto per il freddo, come hanno riportato alcuni ragazzi arrivati a Milano la settimana scorsa, o in migranti senza scarpe e con i segni delle percosse delle forze dell’ordine che li hanno respinti.
Nulla di nuovo, purtroppo. Se non appunto che in queste settimane, nonostante sia la stagione peggiore per migrare, si assiste a un flusso continuo di arrivi e ripartenze di profughi da Afghanistan e Iran che necessitano di un’assistenza.
Ci sono volontari che ogni notte passano alla stazione Centrale e sempre trovano ragazzi o intere famiglie iraniane che non sanno cosa fare, dove andare, che chiedono aiuto, impauriti e infreddoliti, occhi fissi nel vuoto e una speranza da far rivivere.
Spesso per le famiglie con minori, i volontari cercano accoglienza per una notte in un appartamento a disposizione dell’associazione o da privati. Ma ovviamente non ci sono abbastanza posti per tutti coloro che stanno fuggendo in questo periodo dall’Iran. E sono in particolare i giovani, minacciati d’arresto per aver manifestato che hanno bisogno di scappare immediatamente, prima che sia troppo tardi, prima che vengano trovati e giustiziati.
Nessuno di loro vuole fermarsi a Milano. Il 90% desidera andare in Germania, qualcuno in Belgio o in Olanda. Perciò l’aiuto che serve – un pasto caldo, delle coperte, una notte in un luogo protetto – è davvero temporaneo ma estremamente necessario. Quando arrivano qui a Milano queste persone sono stremate dalla fatica e dal freddo, impaurite da ciò che hanno visto e vissuto lungo il loro cammino.
Il problema è che alla cronica insufficienza dei luoghi d’accoglienza si uniscono le difficoltà legali–burocratiche per queste persone in viaggio – ribattezzate “transitanti” – che non vogliono farsi registrare per non essere costrette, secondo quanto prevedono le norme del Regolamento di Dublino, a presentare domanda di asilo politico nel nostro Paese e rimanere bloccate qui fino alla definizione della loro posizione, senza poter raggiungere le mete desiderate dove possono contare su reti parentali e amicali per trovare accoglienza e opportunità di lavoro.
Dunque una vera e propria odissea, la necessità di fuggire e i tanti ostacoli che queste persone incontrano sono al limite della sopportazione per chiunque. Ci vorrebbe una rete ben strutturata per dare loro l’aiuto di cui hanno bisogno, per dare loro la speranza di cominciare a vivere per la prima volta, per vedere un mondo che non hanno mai visto e in cui vorrebbero solo diritti e dignità. Solo questo che però è un desiderio davvero difficile da esaudire, mentre tutti noi aspettiamo che certi regimi possano una volta per tutte cadere e disintegrarsi proprio in nome di quell’umanità ormai assente e di diritti sacrosanti che devono essere riconosciuti a tutti.
Perché nessuno debba ancora essere privato della libertà.
Stefania Lastoria