Seneca: la serenità (parte II)
Curare gli animi non sereni non è facile, ma si può fare. Seneca di aiuta a scoprire di cosa abbiamo veramente bisogno e di quali sono i falsi bisogni. Il filosofo usa il termine “infesta levitas” che significa letteralmente “insostenibile leggerezza”. La sensazione sgradevole di insoddisfazione di coloro che continuano a cambiare senza riuscire a colmare il vuoto interiore che li attanaglia. “Mutano i cieli sotto i quali ti trovi, ma non la tua situazione interiore…sono con te le cose da cui cerchi di fuggire”.
La situazione attuale, contemporanea, è la situazione di cui parla Seneca. Il malessere profondo che rende la persona perennemente insoddisfatta, anche se è circondata di oggetti e cose, spesso inutili, ma simbolo dello Status quo, cioè il niente materiale del consumismo.
La serenità, secondo Seneca, è uno stato di grazia interiore, fatto di sensazioni di appagamento che scaturiscono dal nostro stato d’animo. Al contrario l’uomo moderno non sopporta neanche se stesso.
La terapia che ci propone Seneca, approfondisce gli studi attuali degli psicologi, come l’invito a ritirarsi a lungo in se stessi, a non affaticarsi inutilmente intorno a oggetti inutili, a evitare ogni forma d’ipocrisia, a vantaggio dell’armonia interiore, che è anche l’invito della filosofia zen.
L’unico possibile rimedio al turbamento, dice Seneca, e di tutti coloro che, anche nel nostro secolo, vogliono essere “sereni”, è un esercizio di sano disinquinamento dal virus che colpisce l’anima, essere schiavi di cose inutili.
Emanuele Caldarelli