LA “LEGGE EUROPEA SULLA NATURA”

di Cesare Pirozzi

Questa volta partiamo con un sospiro di sollievo: la mozione dei “conservatori” è stata respinta dal Parlamento Europeo, la legge sul ripristino della natura è stata finalmente avviata.

Non era per niente scontato, anzi era prevedibile il contrario. Per fortuna – o meglio per il prevalere della coscienza in una ventina di eurodeputati del gruppo dei popolari – è andata bene.

In fondo si tratta di una piccola cosa: la legge prevede che in appena il 20% del territorio europeo si ripristini un ambiente naturale entro il 2030, e che il 10% della superficie delle città sia alberata. Tutto qui.

Non è niente di rivoluzionario, ma è un atto simbolico, che vuol dire: iniziamo a cambiare strada, smettiamo di divorare il territorio, di picconare il pianeta. Si potrebbe dire, con un’immagine sintetica, smettiamo di segare il ramo su cui siamo seduti. Perché di questo si tratta, alla fine: di cercare di salvarci. Ed è un atto che tende a ripristinare un po’ di biodiversità e a rilanciare un’economia legata alla natura con piccoli investimenti sul territorio, da cui si attende un grande ritorno in termini economici ed ambientali.

Ciò che dovrebbe stupirci è che la normativa non sia stata approvata all’unanimità; anzi che sia stata presentata una mozione per respingere il progetto, senza neanche discuterne. Mozione respinta per pochi voti, grazie a una sorta di obiezione di coscienza da parte di un gruppetto di popolari.

E qui occorre una prima piccola riflessione. Le maggioranze politiche non sono mai granitiche, perché son fatte di esseri umani, purtroppo o per fortuna. Così, quando una proposta è sensata e un obiettivo è sacrosanto, non possono non sgretolarsi quel poco che basta. Così una minoranza politica può diventare maggioranza morale. Peccato che non succeda più spesso, chiunque sia maggioranza o minoranza.

La seconda riflessione è più amara. Ma che cosa gliene viene ai partiti di destra dalla distruzione del pianeta? Perché amano tanto il consumo del suolo e la produzione di CO2 e inquinanti vari?

Certo non difendono i propri interessi personali: anche i politici di destra dovrebbero desiderare un futuro appena dignitoso per sé e per i loro figli e nipoti. Può essere mai che non si rendano conto del danno ambientale che abbiamo prodotto e della gravità delle sue conseguenze? Temo che, più o meno inconsapevolmente, stiano difendendo gli interessi di altri, non i propri. Cioè gli interessi dei gruppi economici che traggono vantaggio – nell’immediato, ovviamente, perché poi saranno nella merda anche loro – dal consumo del suolo e dalla produzione di gas serra.

Si definiscono popolari, ma di quale popolo? Conservatori, ma per conservare che cosa? Sovranisti, ma di quale regno?

Fatto sta che non approvano il green deal portato avanti dalla “maggioranza Ursula”, di cui pure i popolari facevano parte. Preferiscono i combustibili fossili alle rinnovabili, almeno quel tanto – dicono – che non danneggi l’economia. Come se la crisi climatica potesse avere una qualche convenienza economica. E di nuovo bisogna chiedersi: ma di quale economia parlano? Chi mai può avere un danno economico dalla riduzione della produzione di gas serra?

In realtà solo pochi piccoli gruppi di potere, quelli che il segretario generale dell’ONU Guterres ha pubblicamente denunciato per aver volutamente e consapevolmente nascosto i dati sulla crisi climatica incipiente, e per aver artatamente manipolato l’opinione pubblica in merito alla questione climatica.

Oggi a quei gruppi si sono unite le lobby dell’agricoltura.

In un certo senso, tutti siamo grati gli agricoltori, giustamente considerando che il loro lavoro produce il nostro pane quotidiano. Ma non possiamo dimenticare che gran parte del settore agro alimentare ha contribuito e contribuisce all’avvelenamento del pianeta. Se grande è la responsabilità di chi produce e vende diserbanti e antiparassitari, cioè le grandi industrie petrolchimiche, non per questo sono privi di responsabilità coloro che li usano. E che oggi hanno tentato di contrastare quella che la stampa sta chiamando “legge europea sulla natura”.

Come sempre, c’è chi lavora per convincerci che anche in questo settore non si può cambiare, senza rischiare un danno economico. Dimenticando che proprio l’agricoltura intensiva impoverisce il suolo, che già si è creata una dipendenza tra petrolchimica ed agricoltura, su cui si basa un ricatto mai dichiarato ma non per questo meno grave: o usate i nostri prodotti o farete la fame.

Ma nessun prodotto chimico è in grado di evitare i danni che la crisi climatica sta producendo al mondo agricolo. Ed oggi questo è uno dei problemi più gravi, assieme al rischio di scomparsa delle api e degli altri insetti impollinatori, minacciati dall’uso intensivo dei fitofarmaci.

Dicevo che l’approvazione della nuova legge europea sembra aprire una nuova speranza sul contrasto alla crisi ambientale. Ma siamo, ahinoi, già in campagna elettorale per le europee del prossimo giugno, e l’obiettivo dichiarato della nostra destra politica è di isolare i partiti ambientalisti e di sinistra, realizzando un’alleanza tra conservatori, popolari e sovranisti. Quali sarebbero le conseguenze sulle politiche di contrasto alla crisi climatica ed ambientale possiamo già da ora immaginarlo. Quali interessi difenderebbe una maggioranza di quel tipo ce lo hanno già chiaramente spiegato con il loro voto al Parlamento Europeo.

 

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