Due donne. Madre e figlia lasciate morire di sete nel deserto

Due donne. Madre e figlia. Lasciate morire di sete nel deserto, in Tunisia. I corpi, abbracciati, con la bocca nella sabbia, trovati vicino al confine con la Libia. Un dramma infinito, che si consuma tutti i giorni sotto i nostri occhi. Centinaia di migranti abbandonati senza acqua. Nessuno li vuole. Nessuno li accoglie. Cacciati senza colpa, i migranti muoiono. Scacciati senza ragione, i bambini figli di migranti muoiono. Di fame. Di sete. Di stenti. Abbandonati nella terra di nessuno, sul confine tra la Libia e la Tunisia. Deportati, violentati, picchiati, frustati, lasciati morire dalle autorità libiche e tunisine, con il consenso indifferente dei governi europei.

In Tunisia, c’è una vera e propria caccia al nero. I migranti vengono arrestati e poi deportati dalla polizia, fino alla frontiera, dove vengono abbandonati senza acqua.

L’immagine della madre e della figlia, morte abbracciate con il volto riverso sulla sabbia, parla più di qualsiasi parola.

Distese sulla sabbia rovente, abbracciate. Una immagine che sta facendo il giro del mondo. Una mamma e una figlia, che avevano una speranza. Una madre che cercava di salvare sua figlia, senza speranza. Il dramma quotidiano di migliaia di donne, madri, che cercano una via di scampo per le figlie, senza avere una via di scampo. Le porte della Europa sono chiuse. Con accordi terribili con i governi libici e tunisini. Spietati killer al soldo di una Unione Europea senza scrupoli che condanna a morire di sete e fame migliaia di migranti.

Una madre, una figlia. Non hanno un nome. Le chiameremo Samaa e Amina. Samaa, la madre, fugge dalla guerra e dalla carestia. Cerca di salvare sua figlia Amina, di circa sei anni, portandola con se, attraverso il deserto. Non hanno nulla. Solo la speranza di una vita migliore. Non hanno soldi. Non hanno pane. Non hanno acqua. Ma camminano. Samaa tiene per mano sua figlia Amina. Gli bagna le labbra con la poca acqua rimasta. Cerca di fargli forza. La stringe a se. Forte. La stringe forte. Le sussurra i canti della sua terra. Le accarezza i capelli. Sono giorni che vagano. Non mangiano. Sono esauste. Samaa vorrebbe piangere. Ma non piange. Risparmia le lacrime per non consumare acqua. Amina e debole. Non riesce più a camminare. Il sole è rovente. La sabbia infuocata. Anche Samaa è debole. Non ha più la forza di proseguire. Ma resiste. Stringe la mano di sua figlia. L’abbraccia ancora più forte. Si accasciano sulla sabbia. Con il volto. Samaa cerca la mano di Amina. La stringe ancora più forte. Cerca le ultime gocce di acqua nella bottiglia. Ma non c’è acqua. Gli passa le dita sulle labbra, asciutte. Vede sua figlia che non apre gli occhi. Dorme. Dorme. Dorme per non risvegliarsi più. La stringe a se. Si avvicina al suo corpo. Quasi a coprirla. Prova ad accarezzargli le guance coperte di sabbia rovente. Prova a respirare, la sabbia gli entra nei polmoni. Soffoca. Muore. Di sete. Accanto a sua figlia. La guarda un’ultima volta, dorme. Con la bocca sulla sabbia. Si addormenta anche lei, con la bocca sulla sabbia. Avvicinando il suo corpo al corpo della figlia. Così le ha trovate il giornalista libico Ahmad Khalifa che ha diffuso la foto.

Claudio Caldarelli – Eligio Scatolini

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