Israele, dilaniato confine interno esterno d’Occidente

Far entrare Israele nell’Unione Europea è stata una delle ultime battaglie del leader del Partito Radicale Marco Pannella. Battaglia non conclusa, perché non era molto ben vista e capita da una sponda all’altra del Mediterraneo e dell’Atlantico. Pannella, però, coglieva che la particolare posizione geografica extra europea, in relazione a quella politica occidentale d’Israele, rappresenta una contraddizione permanente da risolvere. Bastava mettere a progetto l’attraversamento del confine meridionale europeo del Mare Nostrum. E che Israele – naturalmente – iniziasse a tessere iniziative e dialoghi diplomatici in direzione di tale strategica estensione geo-politica. Molti, però, sono gli ostacoli che si oppongono ancora oggi alla visione di Pannella. Gli Usa rimangono il principale, stabile sostegno politico e militare di Israele. L’Unione Europea non ha la stessa forza militare e unità politica attorno alla questione israeliana in generale, e israelo-palestinese in particolare. Israele non intende in nessun modo rinunciare alla sua profonda aspirazione all’autonomia in quanto Stato legato all’origine ebraica della sua religione e cultura. È vero che il disegno più ampio di Pannella erano – e rimangono per il Partito Radicale – gli Stati Uniti d’America e d’Europa, ma intanto del suo disegno-sogno oggi non se ne parla proprio più.

A riproporre la contraddizione di quel dentro-fuori, però, è la dilaniante fenditura verticale squarciatasi nell’intera società israeliana con il disegno di riforma della giustizia voluto dall’attuale governo in carica, guidato da Benjamin Netanyahu e composto da ministri e partiti di ultra destra e ultra ortodossi. Israele, come anche l’Inghilterra e la Nuova Zelanda, è uno Stato che non ha alla sua base una Costituzione. A regolare la vita legislativa è la Knesset, ossia il Parlamento, e la Corte Suprema. Quest’ultima può abolire delle leggi parlamentari in base ala Clausola di Ragionevolezza. La scorsa settimana, con 64 voti su 120, la maggioranza governativa – uscita dall’aula l’intera opposizione – ha abolito tale primo caposaldo della vita istituzionale del Paese. Sono seguiti scontri di piazza, astensioni dal lavoro di sindacati, medici anche dei Pronto Soccorso, mentre gli stessi piloti della riserva aerea hanno minacciato di non volare più, mettendo così a rischio la sicurezza nazionale. La denuncia e la rivolta sono contro il regresso stesso di Israele in uno Stato non più laico, democratico, ma sovranista e teocratico. Dalla questione palestinese, a quella degli stessi arabo-israeliani e del fondamento permanentemente ed esclusivamente ebraico dello Stato, ultra destra e ultra ortodossi, di fatto, stanno già attuando misure oltranziste. La razzia di case e cacciata dei loro storici abitanti palestinesi, per assegnarle seduta stante ai coloni, è una delle più inquietanti. Ora si cerca disperatamente una mediazione, nazionale o internazionale, che possa evitare la definitiva, irreparabile spaccatura dalla base della società fino al vertice istituzionale e militare.

Il dilaniante interno-esterno, però, deve essere considerato nel suo ambivalente scambio di confine storico e politico tra Europa e Israele. Quest’ultimo, infatti, segnala in maniera radicale un’internità già da tempo in atto e denunciata anche nell’intero Occidente. Lo slittamento verso il regime di democratura, mix di democrazia e dittatura, è al contempo un’origine e un destino della democrazia occidentale stessa. Essa origina, già nella forma aurorale della polis, della città Stato nell’antica Grecia, quale confine interno, che separa, esclude un esterno: il 10% dei cittadini, a fronte del 90% escluso, composto da donne e da schiavi, questi ultimi considerati meno di animali e attrezzi di lavoro. Una concezione-prassi interno-esterno, trascinatasi nei secoli fino al nostro presente. L’ascesa inoltre dell’era della Tecno-Scienza, come forza mentale-culturale e apparato materiale dominante delle società occidentali, segna un ulteriore declino della democrazia insieme all’intera categoria della politica. È quest’ultima, infatti, che ha prodotto la democrazia, quale suo più alto strumento, mezzo di governo civile. Strumento, mezzo, attrezzo – esattamente come gli schiavi antichi e moderni – destinato dall’uso e dall’abuso a logorarsi, consumarsi. Simul stabunt, simul cadent, dicevano nell’antica Roma, insieme stanno, insieme cadono.

Non di questa o quella riforma giuridica, istituzionale basata sul vecchio vizio “umano troppo umano” della forza esercitata per schiacciare una debolezza. Forza e debolezza storicamente contingenti, effimere, soggette a rovesciamenti epocali nella rispettiva posizione di superiorità e inferiorità. L’Occidente dovrebbe invece gettare le fondamenta per la Costituzione dell’Unione degli Stati Giusti del Mondo, fondata sul rispetto dell’essere, di ogni essere in quanto tale, umano o naturale, materiale e immateriale che sia. Una Costituzione condivisibile anche da Israele, perché fondata su quell’aspirazione all’avvento della giustizia nel mondo insito nella sua cultura più originaria.

Riccardo Tavani

 

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