In Memoria di P. Angelo Benolli

L’intera narrazione degli ultimi dieci anni di Italia Solidale del volontariato per lo sviluppo di vita e missione si è fondata su una certezza: che il suo fondatore,  P. Angelo Benolli, stesse dando al nostro tempo una testimonianza necessaria, dal forte valore profetico.

Profeta è una parola immensa e, come tutte le grandi parole, porta con sé inevitabili rischi e pericoli quando viene usata. 

Il forte rischio è quello di pronunciarla superficialmente, senza capire quello che diciamo, credendo e professando che P. Angelo Benolli sia “un profeta” con l’anima, l’inconscio, la mente impregnate di quella fede cieca che lo mandava in bestia contro la quale si è spesso battuto nella sua vita. 

Nella Bibbia ebraica la parola nev’im (נְבִיאִים), profeti, non è usata per uomini perfetti, non è usata, potremmo azzardarci a dire, per descrivere dei santi. 

I profeti erano uomini, e donne (come Debora), a cui la vita non ha fatto sconti, provati, feriti, a volte depressi (Elia, Geremia), spesso folli (Eliseo), talvolta rigidi, insicuri (pensiamo a Mosè), deliri. 

La loro caratteristica, ciò che li rende unici e immensi testimoni, non è quella di non avere avuto ferite o debolezze, ma di aver, proprio nelle loro ferite e debolezze, lasciato soffiare potente lo Spirito che ha creato e muove tutto l’Universo, lasciandogli trasformare proprio le cicatrici più dolorose e profonde nella radice ultima di un messaggio che attraverso di essi ha espresso Dio. 

Prendiamo, per esempio, Osea. 

Innamoratosi di una prostituta sacra in un tempio Cananeo, si sentì incoraggiato dal Signore a sposarla. Gomer, così si chiamava la donna, gli diede dei figli ma poi lo tradì, rendendolo lo zimbello di tutti, ma il Signore Dio inspirò a questo giovane aedo del Regno del Nord di Israele alcuni tra i canti più belli della storia dell’umanità, dove la ferita del tradimento vissuto da Osea diviene la sorgente per cantare che Dio è Amore ed è Fedele. 

Prendiamo Geremia, della tribù di Beniamino, figlio di sacerdoti, un giovanissimo fanciullo che deve aver sofferto, nella sua famiglia, tutte le violenze e le contraddizioni di una fede codificata che, direbbe l’amato P. Angelo, “non vede l’anima e non vede Dio nelle persone”. 

Proprio lui, così giovane, trasformò questa rabbia, questa contraddizione, in un annuncio sconvolgente, in una parola prodigiosa con cui il Signore annunciò un’Alleanza Nuova, che non sarebbe più stata scolpita sulla pietra o scritta nei rotoli, ma nella carne dell’inconscio, del Leb (לֵב), dell’uomo interiore, del Cuore. 

Ebbene p. Angelo Benolli ora muore. È passato al Padre lo scorso 16 luglio.

Un tumore aggressivo e maligno lo ha portato via in una manciata di mesi, e la domanda che continua a risuonare nella mia testa è quella di Gesù Cristo quando, parlando del Battista, chiede: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto?”. 

Cosa avete visto, cosa avete ascoltato, qual è stato il senso profondo della vita, della profezia di quest’uomo? 

In che senso p. Angelo Benolli è un profeta? 

Ecco, rispondere a questa domanda è il compito destinale, la vocazione profonda dell’Intero movimento di Italia Solidale-Mondo solidale del volontariato per lo sviluppo di vita e missione per i prossimi decenni, per il prossimo secolo. 

In che senso P. Angelo Benolli è un profeta? 

In che senso la sua visione della vita, delle cose, del mondo, della storia, di Dio, della chiesa, di Cristo, di Maria, dell’inconscio, dei poveri, delle persone, delle comunità, ha in sé un germe profetico per gli umani del nostro tempo? 

Come può la testimonianza di P. Angelo Benolli, come possono i suoi scritti, i suoi libri, documenti, contribuire a rendere concretamente realizzata, felice, una persona in carne ed ossa del nostro tempo? 

Nei suoi libri c’è sul serio qualcosa di forte, evolutivo, addirittura salvifico per l’uomo di oggi? 

Queste le domande cui si deve rispondere necessariamente, per dare continuità alla sua preziosa eredità.

Giacomo Fagiolini

 

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