Il potere tra personaggi senza potere

Tutto è immobile e immutevole nel dramma degli emarginati. La tragedia dei perdenti, scritta da Harold Pinter, trasformata nella commedia del riscatto con un colpo di genio, da Duccio Camerini.

L’anteprima dell’anteprima, in scena alle Cantine Teatrali off, di Andrea Di Vincenzo a Monterotondo, in provincia di Roma. Un off da settanta posti, tutti occupati da un pubblico attento e rispettoso degli attori.

Tutto accade tra le macerie di un vecchio teatro, dove Duccio Camerini, accompagnato da due giovani attori, Lorenzo Mastrangeli e Leonardo Zarra, bravi, nel trasmettere il loro sentire alla platea, quintessenza della scena. Gli accadimenti, tragici, ironici, avvolti da una leggerezza calviniana, resa credibile più della verità stessa, dai tic comportamentali degli attori di se stessi.

“Bisogna avere sempre un paio di scarpe…” un piano B, una via d’uscita da una condizione di miseria e povertà, intrisa di razzismo inconsapevole e incapacità di esprimere affetto. In questa piece, il genio di Duccio Camerini, sovverte l’ordine pinteriano del fallimento di una epoca, gli anni sessanta, per agire su un piano attuale dove la solidarietà viene quotidianamente cancellata e proposta come elemento negativo delle esistenze degli ultimi. Gli stessi ultimi che, Duccio, fa riscoprire nei sentimenti di fratellanza, tipica della rivoluzione francese, che supera la fratellanza di sangue che Pinter ci aveva propinato.

La forza intrinseca dei valori etico-morali emergono nel finale, in cui il passaggio di mano della borsa, che ha metà dell’opera, divideva i fratelli, diviene un gesto altamente simbolico che supera ogni barriera razziale e religiosa, per divenire la speranza della universalità della fratellanza. La stessa fratellanza di Papa Francesco.

Duccio Camerini ancora una volta riesce a stupirci con la sua molteplice capacità di movenze e suggestioni che sottolineano l’ingratitudine dei perdenti che non accettano, per cattiveria d’animo, un gesto di affetto sincero, da chi è più sfortunato di lui. Per assurdo, il “diverso” diviene lo specchio di ogni nostra diversità, non accettata e rifiutata. Nel rallenti di ognuno l’inverso iperattivo dell’altro. Un gioco delle parti senza specchi, che mette i corpi e più di tutto le anime al cospetto degli spettatori che trattengono il fiato per poi, sul finale, dello sguardo universale della fratellanza, esprimere con sollievo un unico grande respiro liberatorio.

Grazie Duccio.

 

Claudio Caldarelli

 

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