I difensori della vita

La triste vicenda della piccola Indi Gregory, conclusasi il 13 novembre scorso con la sua morte dopo poco più di otto mesi di vita trascorsi tutti in ospedale, ha suscitato in tutti noi grande partecipazione e ci ha indotto a riflettere sui difficili interrogativi che essa pone.

Come abbiamo appreso dai mezzi di informazione, la bambina inglese era affetta fin dalla nascita da una rara malattia mitocondriale degenerativa, giudicata da tutti i medici incurabile, causa di un’esistenza in condizioni estremamente precarie, resa possibile solo dai moderni strumenti tecnologici. I tribunali del Regno Unito avevano deciso la sospensione dei sostegni vitali al fine di non prolungare inutili sofferenze, ritenendo che ciò fosse nell’interesse della bambina. Al contrario, i suoi genitori si opponevano strenuamente all’interruzione delle cure, ricorrendo in tutte le sedi giurisdizionali (compresa la Corte europea per i diritti dell’uomo) e rivolgendosi anche all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, che si era dichiarato disponibile ad accogliere la piccola Indi. Il nostro Governo, al fine di agevolare il trasferimento, in una riunione urgente tenutasi il 6 novembre, ha deliberato il conferimento della cittadinanza italiana alla piccola Indi Gregory … in considerazione dell’eccezionale interesse per la Comunità nazionale ad assicurare alla minore ulteriori sviluppi terapeutici, nella tutela di preminenti valori umanitari che, nel caso di specie, attengono alla salvaguardia della salute. La presidente Meloni ha poi scritto al segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito chiedendogli, con riferimento alla Convenzione dell’Aia del 1996 sulla protezione dei minori, di “sensibilizzare le autorità giudiziarie” inglesi affinché la bambina potesse “accedere al protocollo sanitario di un ospedale pediatrico italiano” (osservo per inciso che – ammesso che la Convenzione dell’Aia sia applicabile a questo caso – in una democrazia l’esecutivo non può influenzare le decisioni della magistratura). Ma queste azioni non hanno avuto alcun esito: tutti i ricorsi sono stati respinti e il drammatico epilogo è stato inevitabilmente quello che conosciamo.

Riflettendo su questa vicenda, la prima domanda che ci si pone è: fino a che punto si può e si deve spingere il dovere – sacrosanto – di difendere la vita umana e dove, per contro, inizia l’accanimento terapeutico? A questo interrogativo si possono dare risposte diverse ed il confine non è sempre ben definito, ma penso che in casi come questo – pur con il rispetto dovuto al dolore dei genitori – non sia giusto voler prolungare, ad ogni costo e per un tempo limitato, una condizione esistenziale precaria e carica di sofferenza, contro il parere unanime della comunità scientifica e dei tribunali di uno Stato di diritto.

Ma non voglio aggiungere altro su un argomento che comporta comunque la necessità di scelte drammatiche e dolorose che spesso risultano in contrasto con sentimenti e desideri certamente comprensibili e sempre degni di rispetto; vorrei invece fare qualche commento sulle iniziative messe in atto dal Governo italiano.

Mi ha particolarmente colpito una circostanza: questa vicenda è pressoché identica ad un’altra, risalente a circa cinque anni or sono, che riguardava un altro bambino inglese di pochi mesi, Alfie Evans, colpito da una malattia neurologica degenerativa dichiarata assolutamente incurabile e giunta allo stadio terminale. Anche in quell’occasione, contro la decisione dei medici e dei giudici di interrompere i sostegni vitali, i genitori di Alfie avevano fatto tutti i possibili ricorsi (fino alla Corte europea per i diritti dell’uomo) per ottenere il trasferimento del piccolo in Italia, dove l’Ospedale Bambino Gesù si era dichiarato disponibile a fornire assistenza. Esattamente come accaduto per Indi, tutti gli appelli furono rigettati, e non ebbe effetto la decisione del Governo italiano (all’epoca presieduto da Gentiloni) che, il 24 aprile 2018, aveva deliberato di conferire ad Alfie la cittadinanza italiana. Il bambino morì il 28 aprile, poco dopo la sospensione dei supporti vitali.

Le analogie tra questi due casi sono – come si vede – strettissime, in particolare per quanto attiene le azioni del nostro Governo: i promotori sono sempre gli stessi “difensori della vita” (Giorgia Meloni, Simone Pillon, ecc.); gli argomenti giuridici addotti in favore delle richieste dei genitori sono i medesimi; identiche sono le parole (che ho riportato sopra in corsivo) con le quali sono formulate le decisioni di concedere la cittadinanza italiana ai due bambini.

In merito a questo comportamento del nostro Governo – attuato nello stesso modo sia da Gentiloni sia da Meloni – vorrei fare alcune osservazioni. La prima riguarda la motivazione addotta per il conferimento della cittadinanza italiana, che (legge n. 91 del 5 febbraio 1992, art. 9, comma 2)può essere concessa allo straniero … quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato”. Pur essendo senza dubbio importantissima la salvaguardia della salute, non mi sembra che la prosecuzione ad oltranza di una cura, peraltro inefficace, rivolta a un singolo bambino – con tutto il rispetto dovuto ad ogni essere umano – possa configurare “un eccezionale interesse per lo Stato”; ritengo quindi che la norma in questione sia stata interpretata in maniera alquanto forzata e strumentale.

In secondo luogo, non vedo perché la norma stessa debba applicarsi sempre e soltanto a bambini inglesi incurabili anziché – come sarebbe più ragionevole – alle altre migliaia di bambini di varie nazionalità ai quali, a causa di guerre o per mancanza di risorse, non è data l’opportunità di ricevere nel proprio Paese un adeguato trattamento sanitario, magari con una concreta prospettiva di sopravvivenza. Per fare solo un esempio, penso ai tanti che sono ricoverati negli ospedali di Gaza nelle drammatiche condizioni che conosciamo, ai quali forse sarebbe consentito l’espatrio (anche da terroristi spietati) se fossero cittadini italiani. Credo poi che, sempre per la “tutela dei valori umanitari”, si sarebbe potuto concedere la cittadinanza anche a quelle donne straordinarie che lottano coraggiosamente per i diritti civili in Stati dominati da regimi totalitari e oscurantisti, come l’Iran o l’Afghanistan. Penso, in particolare, a Narges Mohammadi, recentemente insignita del premio Nobel per la pace, ingiustamente perseguitata e detenuta, in condizioni inumane, nelle prigioni iraniane. Si potrà obiettare che interventi di questo genere avrebbero scarsissime o nulle possibilità di successo; ma anche quelli del nostro Governo, identicamente reiterati in favore di bimbi inglesi, non hanno ottenuto alcun risultato.

In ogni modo, iniziative come quelle che ho immaginato avrebbero – se non altro – un alto significato morale, mentre quelle messe in atto da Meloni (e in precedenza da Gentiloni) mi sembrano sostanzialmente operazioni propagandistiche a beneficio di coloro che vogliono, con caparbio accanimento, “difendere la vita” ad ogni costo, con qualunque mezzo, in qualsiasi condizione: a favore, quindi, di un’ideologia che definirei integralista e ottusa.

Adolfo Pirozzi

 

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