L’arte della musica è… Folkstudio giovani

La musica è un’arte, l’arte della musica, poiché riesce ad esprimere l’interiorità del musicista che la produce. Suono, memoria, linguaggio, emozioni, movimento: la musica è amore. Stimola la fantasia, ci fa sentire bene, aumenta il benessere mentale, fisico e spirituale, migliora il nostro umore ci rende leggeri. 

Questo accade, all’Asino che vola, a Roma, quando Luigi Grechi organizza la serata Folkstudio giovani, avviene l’incantesimo, le vibrazioni si trasformano in canzoni. 

I giovani, ragazze e ragazzi che si esibiscono nell’open mic sono di livello alto, preparano l’incantesimo che avviene con i tre cantautori della serata. Un mix che funziona e fa assaporare “l’arte della musica” al pubblico presente in sala.

Apre Luca Nint, accordando le corde, vola leggero nel tempo delle mele, trasportandoci come una farfalla su una “instabile altalena” della vita. Nint è giovane, ma spinge sulle corde con le dita per accompagnare la voce a dire “ho paura che le tue parole siano le mie ferite”. 

Riprende con “Solo”  un inno alla solitudine vissuta oltre ogni piazza vuota. Siamo gocce, siamo qualcosa di profondo. Nint ci cambia lo stato d’animo con la sua musica che racconta una storia. La storia di ognuno con una lettera mia scritta, custodita nel cuore del tempo che ha paura del tempo. Lei non esiste, ma solo nella fantasia si fonde con la sua musica, fino a dire che nelle mani degli anziani si è nascosto Dio. 

Luca Nint smuove i sentimenti che fanno rivivere i pensieri cantando “Semplice” scritta per il teatro, mai andato in scena, ma ci dice: la canto perché mi piace e racconta una storia. La mia arte dentro questa storia.

Il secondo cantautore presentato da Luigi Grechi, sul palco dell’Asino che vola, è Marco Sonaglia, un artista resiliente e resistente, sopra le righe dello spartito, oltre il sesto rigo. Marco canta ciò che accade e non deve essere dimenticato. Ha l’incredibile capacità di risuonare profondamente dentro di noi, suscitando emozioni, evocando ricordi e persino facendo venire le lacrime agli occhi.

Marco Sonaglia strappa subito un applauso con la prima canzone dedicata a Stefano Cucchi che rappresenta tutti gli “omicidi di Stato” e sono tanti. Prosegue con”La luna e i falò” per Cesare Pavese che è un po’ l’essere umano in tutti noi, che tende al suicidio per empatia con la sofferenza del mondo. 

Supera ogni steccato, la canzone di Sonaglia dedicata ai migranti rinchiusi nell’isola di Lesbo, alle donne e ai bambini morti nel rogo da cui non sono potuti fuggire a causa del filo spinato che li teneva prigionieri.

L’arte della musica in Marco Sonaglia è anche l’arte della interiorità pura e sincera. Un filosofo della attualità, un Platone che può dire “la musica è autentica bellezza solo nel momento in cui persegue ciò che è meglio per l’uomo, ovvero la verità”.

È la musica degli zingari felici dì Claudio Lolli, che ci riporta agli anni delle stragi di Stato, delle rivolte e delle manifestazioni studentesche. Non c’è nostalgia nella musica di Sonaglia, c’è rabbia. Tanta rabbia. Non c’è rassegnazione ma voglia di rivolta. C’è la critica aspra alla borghesia e al capitalismo. C’è la Costituzione ricordando uno dei padri fondatori come Emilio Lussu, esiliato dai fascisti, e poi fuggito dall’esilio, richiamando i valori antifascisti “e spero che siamo in tanti”.

Si, Marco Sonaglia è l’arte della musica che riesce nell’arduo compito di esprimere emozioni altrimenti inesprimibili. Grazie Marco.

Chiude la serata un bravissimo Lorenzo Lepore, con lui la musica piove da una nuvole, ma non ti bagna, di avvolge piano piano e ti entra dentro, fino al midollo. “Se la mia vita fosse una canzone la imparerei con te…”voce e tastiera, gli permettono di far scattare i meccanismi inconsci di cui non conosciamo le dinamiche. Sappiamo però che ci aiutano a stare bene. 

Lorenzo Lepore con la sua musica funge da aggregante per il pubblico che lo segue e si fa trasportare nelle sue fantasie e nelle sue verità scomode o dimenticate. Da voce a chi sogna una casa e una casa non ce l’ha, perché i poveri sono molti di più dei ricchi, “la mia casa è un’agonia ma è casa mia…”. La socialità o antisocialista “dell’alcolista” è un toccasana per i neuroni che vengono riposizionati su una scala diatonica priva di orpelli, ma ritmica da farci cantare insieme a lui. 

Lorenzo Lepore si trova a suo agio sul palco, affascina il pubblico, trascina, produce endorfine che fanno piacere all’organismo.  La musica di Lorenzo per dirla come Beethoven: “Dove le parole non arrivano…la musica parla”.

Ps. La canzone dei Greatiful Dead proposta sul finale dal duo Lepore-Nint è è un fantastico finale, cantato con la gioia di cantare per condividere una forte emozione.

 Claudio Caldarelli