Arrestare la libertà

PatriziaLa libertà di informazione è un bene prezioso, il cui valore non può essere dato per scontato. E’ una conquista di civiltà, una via di conoscenza, critica, dalla portata rivoluzionaria, al punto che i regimi dittatoriali del mondo la temono. Le voci del dissenso o, molto più semplicemente, le voci di chi osa criticare i detentori del potere e i loro sostenitori, non solo danno fastidio ma si ritiene indispensabile eliminarle, farle tacere.

L’ultimo esempio riguarda la Turchia. Il presidente Erdogan dopo il fallito golpe di pochi giorni fa ha ordinato quasi subito l’arresto di 42 giornalisti e, subito dopo, quello di altri 47.

I primi giornalisti arrestati appartenevano a diverse testate giornalistiche, tra editoria e televisione, mentre gli ultimi 47 scrivevano per il quotidiano Zaman, giornale molto letto e conosciuto anche perché tradotto in inglese. Le motivazioni dell’arresto risiederebbero in una vicinanza della testata alle posizioni di Gulen, che, a detta di Erdogan, sarebbe il responsabile al quale far risalire il tentativo di Golpe del 15 luglio.

Vero? Falso? Di certo vi è che, per aver espresso delle opinioni contro il regime di Erdogan, per aver raccontato della corruzione e del coinvolgimento di alcuni sostenitori dell’attuale presidente, il giornale non era certo una fonte di notizie gradita.

Il problema che si pone è se una fonte di notizie per aver accesso in uno stato deve essere prima gradita a chi detiene il potere.

La risposta non può essere che negativa. A meno che non si voglia asservire l’informazione ai comandi provenienti dall’alto, che comporterebbe il venir meno del diritto a sapere, a indagare, a scoprire, sondare cosa c’è oltre il muro che, alcuni poteri, sanno ben costruire sulle loro scelte, intrighi di palazzo, corruzione.

Le voci contro sono sempre utili. Non sono sempre giuste, non sono sempre corrette, possono essere anch’esse di parte, di un’altra parte, quella dell’opposizione, ma la loro assenza, il loro silenzio, suona come violenza al diritto del confronto, del sapere, alla possibilità di formarsi un’opinione personale, da poter sempre esprimere a voce alta, senza timore di essere sbattuti nel fondo di una galera, perché dissenzienti.

Il dissenso è vita, è motivo di riflessione e non di supina accettazione. Dissentire non è necessariamente intenzione di rovesciare un governo, non sempre. E se anche lo fosse dovrebbe essere spunto per capire cosa accade, non motivo di eliminazione di chi si fa portavoce di altri pensieri.

Sopravvive uno stato che sa ascoltare, che sa comprendere le ragioni degli altri. Uno Stato che si evolve. Gli altri vivono nella violenza, ma non evolvendosi, prima o poi, cesseranno di esistere e, purtroppo, non sempre in favore di nuove democrazie.

Ai giornalisti di ogni nazione rinchiusi in prigione, uccisi, torturati, umiliati per piegarne la voce, va tutta la nostra solidarietà.

di Patrizia Vindigni

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