Todo modo

Baroncini“Quando la moglie dello scafista mi ha fatto vedere il punto della spiaggia da dove sono partiti i ragazzi, la prima cosa che ho pensato guardando il mare è stato di bere tutta l’acqua per vedere dov’era mio figlio”

(-Dispersi- testimonianza della madre di un adolescente mai tratto in salvo)

A Melilli (Siracusa) è ormai finita da 15 giorni l’operazione di recupero dei corpi dei migranti rimasti intrappolati all’interno del barcone che giaceva da un anno sul fondo del mare, a 375 metri di profondità.
Delle circa 750 persone a bordo, stivate come topi nella barca affondata, sono rimaste 675 body bags: resti umani indistinti chiusi dentro sacchi adibiti al trasporto e alla conservazione per breve tempo di cadaveri , in situazioni di emergenza. Non donne e bambini, non uomini, ma “body bags”. A dare un nome e un cognome ai sogni e alle speranze racchiuse in quei sacchi lavoreranno ancora per mesi i medici di una dozzina di atenei italiani. I naufraghi, già si sa, venivano in Italia partendo da 11 nazioni diverse: nella barca affondata c’erano alcuni documenti, tessere Unhcr, passaporti, ma anche pagelle di scuola. Che tenerezza e che dignità in quelle pagelle annegate: non la ricchezza, ma la cultura come misura, come garanzia e lasciapassare per l’Europa.

Il rispetto dei morti (e dei feriti) è fondamento della nostra civiltà. Quanta parte di umanità va perduta se, alla notizia dell’operazione di recupero dei corpi e della loro identificazione, l’unica domanda che l’opinione pubblica ancora si pone è “quanto costa”?

Todo modo, diceva Sant’Ignazio di Loyola: con qualsiasi mezzo. Costi quel che costi, restituire un nome ai corpi umiliati dalla plastica delle body bags è l’ impegno morale che ci vincola a quelle madri che -come tutte le madri- berrebbero il mare intero per ritrovare il proprio figlio, è il debito -o il privilegio- ancestrale che abbiamo ereditato il giorno in cui siamo nati. Penseremo con rammarico a tutti i soldi spesi per il recupero della barca affondata nel Mediterraneo e a tutti i soldi che spenderemo per il loro riconoscimento e la loro sepoltura. Perché avremmo potuto spenderli molto meglio: per esempio, per accoglierli vivi.

Quanto costa la vita? Quanto costa la morte? Ma la morte e la vita, questa doppia partita, davvero è contabilizzabile in termini di costi e ricavi?

Quando i comandanti dei pescherecci che attraversavano il canale di Sicilia hanno cominciato a soccorrere i migranti sui barconi, una volta tornati a terra si sono visti recapitare degli avvisi di reato: favoreggiamento. Eppure hanno continuato a salvare persone a costo di finire nei guai, obbedendo a una legge non scritta, superiore a quella dei codici: la legge del mare.

L’Occidente, il mare, l’ha sempre temuto. Nemmeno i Greci l’hanno amato, contrariamente a quel che si pensa, perché la morte in mare non garantiva l’onorata sepoltura indispensabile per accedere al regno dei morti.

I morti: materia di regolamenti comunali di polizia mortuaria, di igiene pubblica e di diritto amministrativo. I morti: oggi cerchiamo di sbarazzarcene il più in fretta possibile, anche col pensiero. Ma all’origine della nostra civiltà il mondo di sotto, il mondo dei morti, il solo posto dove tutti diventavano uguali per l’eternità, era l’unica certezza sulla quale ancorare il mondo di sopra, il mondo dei vivi, così fatuo, effimero e passeggero. Ha dunque radici remote il problema delle onoranze rese ai caduti, soprattutto se caduti in situazioni estreme, come i migranti naufraghi del Mediterraneo. E’ un tema che ricorre costantemente nella nostra cultura, con una dignità che il pensiero comune oggi vorrebbe svilire distinguendo, per esempio, i morti propri da quelli degli altri, come se esistesse un criterio per poter distinguere i morti nazionali dai morti in quanto tali.

Testo fondativo della nostra civiltà giuridica è l’Antigone, tragedia di Sofocle. Hegel la considerava una delle opere d’arte ” a ogni riguardo” più perfette di tutti i tempi. Al centro della tragedia di Sofocle c’è la disputa tra una giovane donna, Antigone, e il re di Tebe, città dalle 7 porte, Creonte. Motivo del contendere è il destino da riservare alla salma del fratello di Antigone, morto tradendo la città e perció condannato dalla legge a restare insepolto. Antigone, “piccola fanciulla dall’incontaminata fede nella santità dei vincoli di sangue” trasgredisce le leggi di Creonte fino a sacrificare la propria vita pur di ottenere la possibilità di seppellire la salma del fratello. La “pietas” di Antigone rappresenta lo scontro tra lo Ius e la Lex, tra il diritto antico, con le sue ragioni morali universali, e la legge spicciola, quella creata alla bisogna, che si adegua alla quotidianità. È un duello tra l’amore fraterno e il freddo comando autoritario, ma è anche lo scontro fra le leggi degli stati che alzano muri e parlano di “clandestini” e di “immigrazione illegale” e la legge del cuore, che nonostante tutto continua ad accogliere lo straniero e a credere nell’ospitalità.

Quanto è costato ad Antigone seppellire suo fratello? La vita.

I ragionamenti di mero carattere economico riguardo i soccorsi ai migranti in mare e il recupero dei naufraghi del 18 aprile 2015 nascondono una riluttanza radicale al confronto con l’altro, col diverso, con lo straniero. Ha brutti voti la pagella scolastica dell’Europa che non sa impegnarsi in un’accoglienza degna della sua civiltà: sarà anche benestante, ricca di soldi, d’arte e di storia, quest’Europa, ma la sua pagella non è un valido lasciapassare, né per cultura né per umanità.

di Daniela Baroncini

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