Sfruttamento nei campi: da eccezione a regola

Ogni anno in questo periodo assistiamo allo sfruttamento di braccianti agricoli nella raccolta del pomodoro, che vivono in baracche prive di ogni requisito igienico sanitario, soprattutto nella zona del tavoliere della Puglia. Nel mondo del pomodoro la paga è a cottimo. Riempiendo un cassone di tre quintali di prodotto si ottengono3,50 euro quando va bene. Di questi, 50 centesimi vanno dati al caporale, per la fornitura di acqua e cibo. Purtroppo tale pratica è molto estesa come sostiene da tempo la Flai Cgil Puglia. Nella sola provincia di Foggia ci sono circa 45000 lavoratori iscritti negli elenchi anagrafici.

Nei campi si assiste a morti per disidratazione e violenze da parte dei caporali. Le inchieste sulle violenze si scontrano con l’omertà, che è dettata dalla paura di ritorsioni. Per questo spesso si risolvono in un nulla di fatto. Come è accaduto in alcuni processi che si sono aperti in questi anni, ci sono braccianti che vengono minacciati e che non confermano le testimonianze fornite inizialmente, accanto ad altri che tengono duro contro i loro aguzzini.

Lo sfruttamento nei campi presenta un fronte variegato. Da una parte ci sono molti lavoratori italiani (soprattutto donne) che in questi anni hanno continuato a lavorare nei campi sotto caporale e che continuano a farlo in condizioni spesso peggiori di prima. Dall’altra si assiste al ritorno nei campi di molti lavoratori che in questi anni hanno perso il lavoro: idraulici, elettricisti, muratori ed ex impiegati nei servizi. Ci sono però braccianti stranieri come africani ed europei dell’est e italiani espulsi da lavori in fabbrica nelle regioni del nord, che comprendono anche donne di 50 anni con tre figli.

Tuttavia nel 2011 il parlamento ha approvato un decreto legge che ha introdotto il concetto di grave sfruttamento lavorativo nel nostro sistema penale. Perché accanto all’azione normativa,è risultata carente un’azione sociale e politica più vasta, che avrebbe dovuto coinvolgere tutti: non solo sindacati e braccianti,ma anche gli enti locali, le associazioni degli agricoltori e la stessa cittadinanza.

Non servono dunque ulteriori leggi speciali, ma ciò di cui si ha bisogno è una generale presa di coscienza da parte di tutti, in modo tale che una volta per tutte si ponga fine a questo infame fenomeno. Serve quindi una vera e propria rivoluzione culturale che abbatta il muro di omertà di cui si nutre questa brutale pratica, in modo che le prossime generazioni non ci incombano e non se ne senta più parlare.

di Lucio Altina

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