L’inferno delle donne braccianti, tra discriminazioni e abusi sessuali
Ecco le schiave dei campi di fragole dell’Arco ionico. Sono donne invisibili, spesso bulgare, romene e ora africane, hanno giornate lunghissime e paghe ridicole, salgono su furgoni la mattina presto e dormono in casolari abbandonati, sfruttate dai caporali e da alcuni imprenditori senza scrupoli, denigrate, molestate, violentate.
Spesso le braccianti iniziano a subire violenze sessuali sui mezzi che le conducono nei campi, nelle serre, nei magazzini, negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro, il tutto accompagnato dalle minacce di perdere il posto o di non essere pagate.
Lo denuncia il rapporto “Cambia terra. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura” di ActionAid, che dal 2016 cerca di illuminare il lato oscuro delle condizioni di vita e lavoro delle donne in agricoltura in Puglia, Basilicata e Calabria.
Le 119 lavoratrici incontrate da operatrici, ricercatori, psicologhe e sindacaliste hanno raccontato storie di molestie, ricatti, paghe da fame e liste nere dei caporali nell’Arco ionico, ovvero le province di Matera, Taranto e Cosenza. Una zona rinominata “California d’Italia” perché clima e terra fertile favoriscono le coltivazioni di fragole, uva da tavola, agrumi e le donne sono richieste per garantire la cura della frutta più delicata.
Il caporalato muove un’economia illegale e sommersa di oltre cinque miliardi e si stima che siano 57mila le lavoratrici sfruttate in Italia.
Secondo l’indagine, le braccianti in nero guadagnano 25 – 28 euro al giorno contro i 40 degli uomini, somme che divise per 10 ore lavorative fanno 2,5 – 2,8 euro all’ora.
Ci spiega Annarita Del Vecchio, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia: «Nel barese c’è un metodo collaudato. Quando nelle piazze arrivano i furgoni alla mattina per portare le operaie agricole nei campi, la ‘prescelta’ viene fatta salire accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare la profferta sessuale e ottenere l’ingaggio».
Tra i tanti assistiamo anche al problema della maternità.
Quando la campagna inizia alle due o alle tre di notte, le lavoratrici prendono i bambini addormentati e, se non hanno familiari, li portano a casa di estranee che li accudiscono fino a quando le madri tornano a prenderli, perché mandarli all’asilo è impossibile per gli orari assurdi.
Alcune donne portano i figli nelle serre e sono molte quelle che denunciano ad ActionAid di sentirsi isolate, invisibili, impossibilitate ad accedere ai servizi pubblici e di cura per i figli perché scarsi, distanti, costosi e con orari incompatibili con gli spostamenti casa-lavoro.
Le condizioni sono troppo spesso indecenti. In assenza di servizi igienici, le donne sono costrette ad utilizzare i campi anche quando piove e quando hanno il ciclo mestruale. Poi, se si osa chiedere un giorno di pausa si rischia di fermarsi a lungo, perché ritenute lavoratrici poco “affidabili”.
Alla luce di tutto ciò si può sostenere che il modello agricolo attuale è insostenibile, sia per le lavoratrici sfruttate, sia per le imprese che rispettano invece le regole nonostante le difficoltà. C’è bisogno e urgenza di cambiare prospettiva mettendo al centro i bisogni delle braccianti italiane e straniere escluse dai servizi di welfare e più in generale dai processi democratici.
Solo con il contributo di tutti, si possono coltivare relazioni positive dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Qualche timido cambiamento inizia a farsi vedere. ActionAid ha formato 12 leader di comunità e messo a confronto le lavoratrici con istituzioni locali, associazioni e aziende. Ad Adelfia, in provincia di Bari, il nido comunale ha attivato un servizio di preaccoglienza a domanda individuale dalle quattro di mattina con orari flessibili in entrata e uscita.
Ora si chiede al governo politiche nazionali di genere per assicurare che le donne impiegate nel comparto agricolo diventino finalmente visibili.
di Stefania Lastoria