PER UNA CHIESA DELLA VICINANZA

Mi viene da pensare se ci rendiamo conto della forza straordinaria di Francesco nel rendere attuale il messaggio di duemila anni fa di Gesù Cristo.

Molti sarebbero dell’idea di considerarlo il papa della distorsione “comunista” della Chiesa, il papa delle migrazioni e dei migranti, il papa di un mondo che non esiste e che non esisterà.

Credo però che ci sia qualcosa di più, di messianico, nel lavoro del Pastore venuto dalla fine del mondo.

Sei anni fa Francesco, con la “Laudato sì” mostrava le relazioni esistenti tra crisi ambientale e crisi sociale (in particolare guerre, migrazioni e povertà) e proponeva un cambiamento, con una rottura del sistema economico esistente e la scelta di una società più giusta e rispettosa del creato, con  al centro l’essere, e cioè l’uomo, e non l’avere, e cioè l’idolatria della ricchezza..

Ma Francesco non si è limitato ad una ipotesi di cambiamento. Un anno fa, con la “Fratres Omnes”, ha segnato la via per raggiungere quell’obiettivo: il riconoscersi fratelli e sorelle, custodi l’uno dell’altro.

E cioè il Vangelo, secondo il comportamento del Buon Samaritano.

Ed anche chi non ha ricevuto il dono della fede cristiana può comprendere il messaggio (ce lo aveva già detto la Rivoluzione Francese) alternativa unica alla corsa autodistruttiva verso il baratro dello sfruttamento, della guerra, del terrorismo fanatico, dell’egoismo.

Ma ora Francesco chiede di più, ai suoi credenti. Chiede una partecipazione attiva, per diventare “una Chiesa della Vicinanza”, nell’ambito del Sinodo per la Diocesi di Roma e per la Chiesa Universale.

Ma cosa è, cosa deve essere un Sinodo?

È una «consultazione del popolo di Dio» in tutti le diocesi del mondo.

Ma non è un “parlamento”, non è una “indagine”.

Perché Il protagonista del Sinodo deve essere lo Spirito Santo.

Perché se non ci sarà lo Spirito non ci sarà Sinodo (si torna a “lo Spirito Santo e noi” degli Atti degli Apostoli).

E occorre fare attenzione, dice Francesco, perché ci sono tre rischi nel cammino sinodale.

Un primo è quello del formalismo, con un Sinodo ridotto ad “un evento straordinario”, ma che in realtà niente cambia.

Un secondo rischio è quello dell’intellettualismo, in modo di far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo; una sorta di ‘parlarci addosso’, staccandosi così dalla realtà del Popolo santo di Dio, dalla vita concreta della Chiesa, che è quella delle comunità sparse per il mondo.
E il terzo rischio è quello dell’immobilismo, del “si è sempre fatto così”. Queste parole, sottolinea Francesco, sono un veleno nella vita della Chiesa, con il rischio è che alla fine “si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi … 

Ma accanto ai tre rischi, ci sono tre opportunità.

La prima è quella di “incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente, e cioè in modo sistematico, verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare”.

La seconda è quella di diventare “una Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare”. E quindi di ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera, di ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali”.

Infine, la terza è l’opportunità di diventare “una Chiesa della vicinanza che non solo a parole, ma con la presenza, stabilisca maggiori legami di amicizia con la società e il mondo: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo.

Ecco, questo è il Sinodo che la Chiesa si accinge a svolgere nei prossimo due anni. È la scelta che ha la sue radici nel Concilio Vaticano Secondo, nel quale si disse che «Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa».

Ecco, una Chiesa diversa.

Una Chiesa che ha il coraggio di prendere atto dei propri errori e di respingere la tentazione dei facili compromessi con le istituzioni.

Una Chiesa che vuole di più dai suoi credenti, che non si accontenta più di chiedere loro “Serva mandata” (vivi i comandamenti).

Una Chiesa che vuole che tutte le donne e gli uomini della terra si sentano senza limiti, pienamente, “Fratres Omnes”.

di Carlo Faloci