Quando la libertà di pensiero e parola uccide, o quasi

La Turchia è quasi certamente il paese europeo in cui soltanto parlare di libertà di espressione costituisce un rischio. Un articolo “sbagliato” o un ancora più semplice tweet con critiche o insulti ai piani alti possono significare un biglietto di sola andata verso il carcere di massima sicurezza. Eppure, un’analisi mirata solo ad alcuni mesi del 2015 per monitorare i dati relativi alla libertà di informazione in Europa, l’Index on Censorship’s Mapping Media Freedom, mette al secondo posto, dopo la Turchia, proprio l’Italia. E nei giorni immediatamente successivi l’aggressione subita dall’inviato di Nemo, programma Rai, Daniele Piervincenzi, aggredito violentemente insieme al filmaker Edoardo Anselmi da Roberto Spada, a Ostia, rendono questo dato drammatico e da non sottovalutare.

Al contrario, constatare un attacco ai danni degli operatori dell’informazione e di quei tutori della verità che sono i giornalisti, è inquietante e spinge a riflettere innanzitutto su quale sia il posto che istituzioni e opinione pubblica assegnano loro, se le intimidazioni e le aggressioni verso il servizio pubblico e locale non fanno altro che aumentare. I dati infatti confermano che le minacce il numero di minacce a giornalisti italiani è più che quintuplicato dal 2006 ad oggi: a fine settembre 2017 sono infatti documentate 256 minacce a giornalisti, ed è da considerare che molte vittime non hanno magari reso pubbliche le intimidazioni ricevute. La querela e l’insulto sono tra le azioni più frequenti, ma i numeri testimoniano di non poche aggressioni, più o meno gravi, furti o spari o ancora lettere con proiettili recapitati presso la propria abitazione. Le firme di quotidiani e periodici quelle più prese di mira, ma ai tempi della comunicazione 2.0 è sufficiente un video o un post su siti web o sulla propria pagina Facebook per ricevere nel caso “migliore” un insulto o una minaccia tramite i commenti o la posta privata. Statistiche aggiornate alla prima metà di quest’anno attestano poi la conseguenza peggiore di ogni commento o querela: per venti cronisti si è resa necessaria la scorta, e tra questi dodici vivono a Roma. La raccolta delle testimonianze e le statistiche in merito sono frutto del lavoro di Ossigeno per l’Informazione, l’Osservatorio sui giornalisti minacciati promosso dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale stampa italiana. Numeri e storie che si spera spingano le istituzioni ad agire, e ancor prima ad affermare il valore di una professione che troppo spesso invece viene presa di mira proprio dai politici. Probabilmente è un luogo comune ribadirlo, ma le ultime vicende rendono necessario ricordare che un paese in cui si tappa la bocca a chi ha il coraggio di dire la verità e di lottare per essa non è un paese civile, non tanto più civile di quelle popolazioni da cui siamo costantemente messi in guardia.

di Giusy Patera

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