Istituto Progetto Uomo: l’Università ONLIFE per l’Uomo, con l’Uomo

Lo scorso 26 luglio, la redazione di Stampa Critica ha visitato la sede dell’Istituto di Ricerca e Formazione “Progetto Uomo” (IPU) a Montefiascone (VT), affiliata alla Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana (UPS).

Ci siamo trovati di fronte ad una realtà universitaria diversa da quella a cui siamo abituati: una realtà a misura d’uomo, in cui gli studenti si trovano ad interagire con i propri insegnanti senza quella freddura e quel distacco tipici dell’istruzione italiana.

Durante la nostra giornata in Istituto abbiamo avuto il piacere di essere guidati dal Preside Nicolò Pisanu e dal professore Massimiliano Nisati nei diversi ambienti della scuola, passando per l’atrio, le classi, la direzione, la segreteria, la biblioteca, concludendo intervistando studenti e docenti.


IL CAMPUS


INTERVISTA A NICOLO’ PISANU – PRESIDE IPU

Siamo qui con il professore e Preside Nicolò Pisanu, Preside di Progetto Uomo. In cosa consiste questo progetto? Il nostro giornale si occupa degli “ultimi”. Noi ci definiamo “La voce degli ultimi”. Voi formate delle persone che andranno ad aiutare i cosiddetti “ultimi”, gli emarginati, le persone che, in qualche modo, hanno bisogno di essere reinserite nella società. In che modo, all’atto pratico, vengono aiutate queste persone?

Noi siamo proprio nati per gli ultimi, per il sociale. Siamo nati nel ’95 sotto l’impulso di dare la formazione agli educatori che lavoravano nelle comunità terapeutiche per tossicodipendenti, perché era uscita la Legge 309/90 che obbligava al titolo. Noi siamo nati proprio come risposta a quella legge per qualificare con un titolo coloro che lavoravano con i tossicodipendenti.

Siamo nati incominciando a laureare gli educatori che lavoravano nelle dipendenze, molti dei quali erano anche ex tossicodipendenti e ci siamo, quindi, arricchiti di un’esperienza umana e professionale che, poi, abbiamo traslato in tutto l’ambito sociale: adesso è un Istituto che si occupa di tossicodipendenti, che sono pochi, però abbiamo educatori che provengono e che andranno in tutto l’ambito del sociale e dell’extra-scolastico.

La nostra vocazione è proprio questa. Infatti, perché Progetto Uomo? Perché vogliamo coniugare la professionalità, il mandato universitario, con la formazione umana, perché per lavorare nel sociale la formazione umana la riteniamo indispensabile ed imprescindibile.

Nei nostri corsi, infatti, non abbiamo solo un impianto teorico molto serio ed impegnativo: abbiamo anche, ogni anno, cinquecento ore di tirocinio e delle dinamiche di gruppo che si svolgono durante le settimane – perché noi siamo organizzati a settimane, essendo nati per coloro che già lavoravano – dove un Monitore d’aula, una persona da noi scelta, un educatore di vecchia esperienza, che si è laureato da noi, è a disposizione degli studenti e del professore ventiquattro ore al giorno, per portare avanti e monitorare, a livello di gruppo e individuale, la crescita umana del futuro educatore o dell’educatore che viene a studiare.

Progetto uomo significa lavorare con l’uomo per l’uomo, partendo dall’uomo. Qualcuno ci ha, giustamente, definito l’antitesi dell’università telematica: la nostra non è un’Università online, è un’Università ONLIFE.


INTERVISTA A MASSIMILIANO NISATI – DOCENTE IPU

Nell’Istituto Progetto Uomo l’offerta formativa è molto importante e si ingrandisce ogni anno. Infatti, nel prossimo anno accademico ci sarà anche un nuovo laboratorio del professor Nisati: il Laboratorio sul Conflitto.

Io mi pregio di sottolineare che l’offerta formativa dell’Istituto è di prim’ ordine: ci sono i due corsi di laurea triennale – educatore professionale sociale e educatore prima infanzia – che sono di prim’ordine in Italia, per una serie di motivi che vi sono stati già delineati dagli studenti. Credo che quello che abbiano detto loro sia, forse, il tratto più importante, che fa di questo Istituto una famiglia.

Al Preside ho sempre detto: “Questo Istituto non sembra un Istituto Universitario nel senso classico del termine”, ma è un Istituto in cui ci si sente una famiglia.

A me, personalmente, piace molto perché ricorda la docenza anglosassone, a cui sono molto legato: non c’è quel clima padronale che, invece, contraddistingue l’Università italiana. C’è, invece, quel clima di compartecipazione studenti-docenti che è tipico proprio di un fare docenza degli Istituti statunitensi, che fanno sì che il giovane sia parte di un gruppo. Non è imposizione passiva recepita, ma è parte di un team insieme al docente, atto a costruire un qualcosa.

Questo è un messaggio molto importante, perché anche gli studenti, talvolta, non sono abituati: quando mi interfaccio anche con tanti studenti di altre realtà universitarie, noto che lo studente purtroppo è abituato ad una forma didattica molto passiva.

Per noi fare Università è un modello Sapienza, modello Tor Vergata, modello Roma Tre. Non è quello, fare Università: quello è prendere un diploma. Talvolta mi sento dire che lo studente, in quel modo, lasciato a sé stesso, si abitua fin da subito alle problematiche della vita. È un mors tua vita meache lascia un po’ con l’amaro in bocca, anche perché dalle ultime statistiche pubblicate sul Sole 24 Ore con riferimento alle lauree nelle Università umanistiche, nelle grandi Università statali, il tasso di mortalità studentesca nei primi due anni è di più dell’80%. Che abbandonino l’80% degli studenti è una cosa abbastanza pesante dal punto di vista dell’insegnamento.

Un’offerta come questa, più dettagliata, più formativa – sia da un punto di vista professionale che umano – riesce a meglio far esplicare le potenzialità degli individui, soprattutto quando queste potenzialità devono andare a cimentarsi nel sociale.

In un momento storico in cui il sociale è completamente abbandonato a sé stesso, una Università che si occupa di sociale, secondo me, va tenuta nella massima considerazione.

Ricordiamo il corso di Laurea in educatore professionale sociale, in educatore della prima infanzia – non dimentichiamo i Master – il Master in mediazione familiare, il Master in intercultura, che si occupa di servizi per i migranti, l’attivazione di una serie di Laboratori, tra cui il Laboratorio sul Conflitto, che è un momento in cui gli studenti, ma non solo loro, in quanto sarà aperto anche ad uditori esterni all’IPU, cercheranno di mettersi in gioco, di mettere in fase di realizzazione tutta una serie di tecniche che dovrebbe aiutare l’educatore, ma non solo lui, noi cittadini di una società diversa, a cercare di convivere non più nell’ottica di “uno contro l’altro”, ma nell’ottica del raggiungimento di un fine comune.

Mettere insieme le nostre realtà, potrebbe portare tutti noi a vivere meglio.

Facendo riferimento ai recenti fatti in Grecia, noi spesso, in questi anni ci siamo lamentanti di come è stata trattata a livello economico dalla Troica. Si dice, addirittura, che sia un esperimento di come un’economia possa essere governata dall’esterno.

Parlo della Grecia, perché se alcuni Stati europei avessero accettato quel discorso del CONDIVIDERE – condividere il debito greco in Europa avrebbe comportato a livello di conti economici, per tutti i Paesi europei, una passività molto molto bassa –  avremmo potuto evitare tanti disagi a un popolo che si è ridotto alla fame. Tutto questo, per il non condividere. Il non condividere è portato, purtroppo, da un certo modo di pensare che, con questo Istituto, noi cerchiamo di sovvertire.


INTERVISTA A NICOLA  TITTA – DOCENTE IPU

Il professore Titta, in Istituto, gestisce i tirocini, quindi il momento in cui questi ragazzi si trovano nella realtà dei fatti. Come reagiscono quando si trovano fronte a fronte con la realtà?

L’Istituto ha una Commissione Tirocini, composta dai docenti che seguono in maniera differenziata il lavoro del tirocinio: metodologica e supervisione.

Cerchiamo di accompagnare gli studenti, sia quelli che già operano nel campo e sono già lavoratori con esperienza, sia coloro che si avvicinano al tirocinio, quindi all’esperienza pratica, cercando di guidarla.

Come reagiscono? Chiaramente va valutato caso per caso, perché chiaramente anche in base alle esigenze, alla situazione che trovano ma anche alla persona stessa, sconsigliamo di fare dei tirocini che ci sembrano particolarmente azzardati o fuori portata in quel momento: magari negli anni successivi saranno più pronti ad affrontare situazioni particolari dettate dal tipo di intervento.

Quindi voi indirizzate anche il singolo studente ad una realtà che più gli si addice.

Noi chiediamo al singolo studente di coinvolgerci nella scelta e, molte volte, siamo anche costretti a dire di no a quelle scelte, proprio perché ci sembra più opportuno, per lui o per lei, non intraprendere quel tipo di esperienza in quel momento, perché è troppo presto o magari non è presente una figura di accompagnamento realistica all’interno di una equipe di lavoro in cui loro vogliono andare a fare il tirocinio.

C’è qualcuno che, alla fine degli studi, ha proseguito nella realtà in cui ha fatto il tirocinio, in quell’ente o realtà specifica?

Non abbiamo dati certi su questo, ma dall’esperienza più che ventennale, le dico che mediamente almeno cinque studenti per ogni classe riescono ad essere, in qualche modo, coinvolti in attività lavorative a medio e lungo termine, proprio perché il tirocinio permette di conoscere proprio la persona e le sue competenze.

Hanno alle spalle un Istituto importante che gli dà una sicurezza.

Noi proviamo ad accompagnarli. Quello che non riusciamo ancora a realizzare e che da anni ci diamo come obiettivo è fare in modo che l’Istituto diventi non solo per gli studenti, ma anche per coloro che li accompagnano: far sì che i tutor di tirocinio o gli esercenti della professione siano presenti in momenti di Istituto seminariali, in cui probabilmente si riuscirebbe ad avvicinare il lavoro della formazione a quello del lavoro. Questo è un obiettivo importante.


INTERVISTA A ALBERTO GIOVANNINI – MONITORE D’AULA IPU

Siamo qui con Alberto, un MONITORE D’AULA. Qual è il ruolo del Monitore d’aula all’interno di questo Istituto?

Avere un monitore d’aula è un grosso valore aggiunto per il percorso di studi e per la metodologia con cui è strutturato il percorso di apprendimento degli studenti. Da un lato è un facilitatore: aiuta gli studenti a camminare in modo tranquillo in questo percorso di formazione, perché lui ci è già passato, conosce le dinamiche interne dell’Istituto ed è un punto di riferimento e ascolto in classe.

Il Monitore d’aula sta in classe dalla mattina alla sera insieme agli studenti e, quindi, vive la loro stessa esperienza da un’altra angolazione.

Dall’altro lato è una sorta di raccordo, di cinghia di trasmissione tra i problemi e le esigenze degli studenti e quelli della segreteria e dei professori, quindi mette in corrispondenza i tre cardini del percorso di studi. Risulta, quindi, essere una figura preziosa.

Io provengo da un percorso di studi completamente diverso – mi ero laureato in Agraria – in cui questa figura è totalmente assente.

Inoltre, il Monitore d’aula fa una cosa molto importante: conduce un lavoro di gruppo, un momento di incontro che avviene normalmente l’ultimo giorno della settimana di studi, in cui ci si confronta. Ci si siede in cerchio e si rielabora l’esperienza vissuta. Diventa, quindi, un momento di ascolto, di confronto, di scambio di esperienza, in cui possono emergere le difficoltà che lo studente trova nel percorso di studi o quant’altro: il Monitore cerca di rimettere insieme il mosaico di esperienza e di apprendimento all’interno della settimana didattica e del percorso di studi.

Quello che loro, un giorno, dovranno fare con i loro allievi?

Assolutamente sì. Il lavoro dell’educatore è un lavoro di equipe, un lavoro di squadra, quindi la grossa differenza tra questo Istituto ed altri è che qui si lavora in gruppo, sempre, dal primo al terzo anno, perché il lavoro che andremo a fare è un lavoro di gruppo. Questa parte pratica è, quindi, molto importante, accanto a quella didattica.


INTERVISTA A VERONICA GRANATO – SEGRETERIA E AMMINISTRAZIONE IPU

Veronica ha studiato qui. Quanto tempo fa?

Diverso tempo fa, perché io sono una matricola ‘98, quindi mi sono immatricolata molti anni fa.

Quindi, ci dà anche un quadro più vasto nel tempo di come è cambiato l’Istituto, di cosa è migliorato negli anni e della sua esperienza personale.

Rispetto al passare degli anni, qui all’IPU quello che ho visto accadere nel tempo è che uno dei valori aggiunti di questa Università è, senz’altro, la commistione di esperienze.

All’inizio, molte persone venivano all’IPU per riqualificarsi: erano persone che già lavoravano nell’ambito – questo succede tutt’oggi- e venivano qui per aggiornarsi, soprattutto per conseguire un titolo per poter lavorare nell’ambito del disagio. Quindi, nella mia esperienza, io ho avuto questa possibilità di incontrare persone che già lavoravano nel campo e raccontavano quello che significava stare in prima linea e, per me che ero molto giovane, è stato molto molto utile.

Attualmente abbiamo più studenti giovani che si rivolgono alla nostra Università, quindi molte persone appena diplomate, ma continuano ad arrivare persone che si stanno formando.

Io credo che questo sia uno degli aspetti più rilevanti e più arricchenti della nostra Università: potersi confrontare con chi già fa questo mestiere e, per chi già lo fa, confrontarsi con chi è più fresco, più giovane ed ha un altro tipo di esperienza. È un interscambio molto forte che conferma ancor di più l’attenzione dell’IPU all’aspetto relazionale, perché l’educatore poi va a fare quel tipo di lavoro nel campo: un lavoro sulla relazione. Già da qui, concentrarsi su questo aspetto relazionale vale tanto per la professione, per il futuro, assolutamente.


INTERVISTA STUDENTESSE IPU

Vorrei che ognuna di voi mi desse un buon motivo per frequentare questo corso. Qual è il vantaggio di partecipare ad un corso del genere? Cosa può dare alle future generazioni?

Studentessa 1: Credo che, oltre alla preparazione teorica e ai corsi in sé, il punto forte di questo Istituto sia l’aspetto umano e la relazione che riusciamo ad avere innanzitutto con i professori. Chiaramente i ruoli sono i ruoli, però c’è la possibilità di interagire. Da un punto di visto umano questo è qualcosa che credo non si trovi in altre università. Io ho frequentato università diverse da questa e questo aspetto è molto diverso. Mi porto dietro una parte esperienziale grandissima, al di là della preparazione professionale.

Studentessa 2: Io lavoro nel ramo Socio-Sanitario privato e, in quanto lavoratrice, avevo poco tempo per potermi spostare e raggiungere l’Università. Onestamente, l’IPU mi dà la possibilità di stare vicino al mio lavoro, vicino casa e di non sentirmi sola: di essere seguita da tutti, a cominciare da chi dirige, fino a chi insegna e ai colleghi più anziani. Non siamo mai soli, e questo per me è importante perché anche io, come loro, vengo da altre realtà. Sono madre, moglie, ho una vita piena e qui riesco veramente a seguire tutto, a fare tutto e apprendere tanto.

Studentessa 3: Partiamo dal presupposto che l’IPU è un’Università fatta a misura di persona quindi, si, c’è l’aspetto teorico, ma al tempo stesso si instaurano legami, ci si conosce ancora di più, in un certo senso ci si prende cura di se stessi. Un altro punto forte di questo Progetto Uomo è il fatto che gli studenti arrivino anche da più parti dell’Italia. Le distanze sono molto ridotte, perché la forza di questo legame che si viene a creare va oltre.

di Ludovica Morico

 

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