Venezuela: il Paese ha bisogno di una via d’uscita politica

Qualcuno sul Venezuela ha sbagliato i suoi calcoli e ora Trump, uno dei veri protagonisti della vicenda, ha intenzione di chiederne conto.

Il fallimento del golpe contro il governo e le errate valutazioni sulle dinamiche politiche e militari che sono state presentate alla Casa Bianca dal segretario di stato Mike Pompeo, dal consigliere per la sicurezza John Bolton e dall’inviato speciale Elliot Abrams hanno contrariato il Presidente che inizia a dubitare della strategia messa in campo per rovesciare Nicolas Maduro.

Il fiasco del 30 aprile, pare abbia portato la Casa Bianca a escludere, almeno per il momento, l’opzione militare diretta.

Anche se Pompeo e Bolton smentiscono un fallimento dell’intelligence e ribadiscono il sostegno all’autoproclamato Presidente Guaidò, ora ammettono che “per queste cose” ci vuole tempo.

Certo è che, per gli ideatori della strategia golpista, la mancata risposta agli appelli lanciati dal loro protetto ai membri delle forze armate e la scarsa mobilitazione popolare, rappresenta una sconfitta.

L’annuncio di Guaidò sulla liberazione, non ha visto battaglioni di soldati unirsi alla ribellione popolare e non ha riempito le strade di oppositori in marcia verso il palazzo Presidenziale per cacciare Maduro.

L’azione invocata da Guaidó ai suoi sostenitori perché si concentrassero intorno alle caserme e alle basi militari per “convincere i soldati a passare dalla loro parte” ha ottenuto un risultato puramente simbolico.

Sostanzialmente, il 30 aprile sono mancati i morti. Un numero sufficiente di morti che potesse giustificare l’intervento militare statunitense.

Occorre chiedersi perché, nonostante le drammatiche condizioni di vita in cui versa la popolazione e l’ampio sostegno internazionale a favore Guaidò, non ci sia stata l’attesa sollevazione.

Certamente il regime chiavista conserva il sostegno militare ma questo non è sufficiente per resistere al potere.

Il punto è che, nonostante le sanzioni e il collasso economico, il regime gode ancora di un vasto sostegno in ampi settori della società venezuelana.

Un sostegno che si alimenta nel sogno della rivoluzione bolivariana. Un’idea che affonda le sue radici nella storia e nella cultura del Paese, alimentata dalle lotte bolivariane, africane, indigene, contadine, operaie e che Hugo Chávez ha posto a fondamento della sua visione politica e ha alimentato nei suoi anni di governo.

In definitiva Trump e i suoi si scontrano con il mito di Chávez e il confronto è, per loro, impietoso.

Certo, Maduro non è Chávez ma quando il “manovratore in capo” è un falco della destra Usa come Elliott Abrams – condannato nel 1991 per avere mentito al Congresso durante lo scandalo Iran-Contras, che negli anni 80 ha aiutato la dittatura guatemalteca a portare avanti campagne di torture e sterminio di massa contro le popolazioni indigene e che, nel 2002, è stato coinvolto nel tentato colpo di Stato che voleva rovesciare Hugo Chávez – è facile comprendere la diffidenza popolare.

Nondimeno, lo stallo attuale non aiuta il Venezuela. Il Paese ha bisogno di una via d’uscita politica ma nuove elezioni non saranno possibili finché resteranno in vigore le sanzioni.

Come affermato da Idriss Jazairy – relatore speciale delle Nazioni Unite sull’impatto delle sanzioni unilaterali sui diritti umani – “le differenze politiche tra governi non dovrebbero mai essere risolte inducendo disastri economici o umanitari”. Ricorrere a queste misure per scopi politici, continua Jazairy, viola i diritti umani e le normative internazionali e può provocare “catastrofi umanitarie di proporzioni maggiori”.

di Enrico Ceci

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