Padre Maccalli: un silenzio lungo sedici mesi

Tutto iniziò nei giorni tra il 16 e il 17 gennaio del 2015. Quell’anno era particolarmente difficile fare il missionario. Il sacerdote Pierluigi Maccalli lo faceva mentre in Niger bruciavano le chiese. Si rispondeva cosi all’offesa perpetrata dalle vignette sarcastiche di “Charlie Hebdo”, giornale satirico francese, rivolte al Profeta dell’Islam. Decine di chiese e simboli occidentali incendiati. Il fuoco purifica, il fuoco cancella. Nessuna reazione da parte del governo Nigeriano salvo fare le scuse per non aver protetto i luoghi di culto e promettendone la ricostruzione.

Deboli condanne furono l’unica posizione della società civile, anche di quella intellettuale. Solo commenti di solidarietà pura e semplice.

Era una distruzione prevedibile. Percepita dalla gente comune perché annunciata da un clima intimidatorio orchestrato ad arte da chi voleva violenza e divisione. L’impunità garantiva loro di continuare senza compassione.

In quel contesto, nella notte tra il 17 e il 18 settembre del 2018, Pierluigi Maccalli fu rapito. Non bastavano le chiese incendiate, occorreva di più. Occorreva agli impresari della violenza e della divisione una vita umana, espressione del mondo cristiano, da sottrarre al suo popolo. Pierluigi fu catturato nel cortile della missione in cui operava, in cui dava conforto e tendeva la mano verso i bisognosi condividendo con loro il dolore di una vita sofferta. Rapire Pierluigi aveva un significato, quello di far morire una comunità. Nessuno si sarebbe più occupato degli ultimi, dei bambini malnutriti, dei malati da curare. Nessuno. In quei giorni di settembre del 2018 è stato spezzato dai disseminatori di odio e violenza il filo che legava quel poco di umanità rimasto in una terra difficile in cui la differenza tra vivere e morire la fa una ciotola di cibo o un medicinale.

Molti della sua missione si chiedono dov’è Dio quando succede questo. Pierluigi Maccalli è stato rapito nel villaggio di Bomoanga dove era attivo per conto delle Missioni Africane (SMA), nella diocesi di Niamey in Niger. Dedito all’evangelizzazione e alla promozione umana, si era speso anche per contrastare le pratiche cruente legate alle culture tradizionali, come la circoncisione e l’escissione delle donne. Dava fastidio.

Rientrava nella sua missione di Bomoanga dopo un periodo di vacanze in Italia. La missione è presente in quel territorio dagli anni ’90 e si impegna anche nei villaggi vicini per fronteggiare una povertà endemica, problemi sanitari e di igiene, a combattere l’analfabetismo.

Di Pierluigi Maccalli da quella notte in cui venne rapito non si hanno sue notizie. Non si sa dove si trovi né come stia. Nulla.

Il silenzio sui rapitori fa avanzare parecchie ipotesi circa i gruppi di jihadisti o di estremisti islamici che operano attentati e rapimenti in Niger, in Mali e in Burkina Faso. Ma nessuno rivendica il sequestro.

Padre Donald Zagore, della Società per le Missioni Africane, dice in un’intervista all’Agenzia Fides di Maccalli: “Non esiste attività missionaria senza il sacrificio e il dono ultimo di sé. Un missionario che non fa dono gratuito della sua vita per la causa fondamentale del Vangelo non può dirsi tale” e continua “Quando un missionario offre la propria vita e arriva anche a morire per fare trionfare la buona notizia del Vangelo, diventa un eroe di fede e di missione. Padre Luigi Maccalli è un eroe della missione”.

Di Padre Gino ad oggi non si hanno notizie, ma i suoi rapitori non sono riusciti a spezzare i fili di umanità da lui distesi anzi, semmai li hanno rafforzati.

di Eligio Scatolini e Maria De Laurentiis

 

Print Friendly, PDF & Email