L’Honduras non è un paese per attivisti, indigeni e media

“Chi ha ucciso Berta Cáceres?” è il titolo del libro della britannica Nina Lakhani, l’unica giornalista internazionale autrice di un’inchiesta sull’uccisione dell’attivista honduregna a cinque anni dalla sua morte. Solo lei ha avuto il coraggio di seguire tutte le fasi delle indagini sul caso e renderle pubbliche con un libro.

Ma chi era Berta Cáceres? Come già detto era un’attivista che dopo anni di minacce, molestie sessuali, violenze e dopo che i suoi persecutori hanno compreso che mai si sarebbe arresa, l’hanno semplicemente eliminata.

Il libro reportage, appena uscito in Italia (Editrice Capovolte), presenta la lunga indagine di Lakhani sull’omicidio di Cáceres e l’intero contesto che lo ha favorito: dal colpo di stato che ha deposto Manuel Zelaya nel 2009 ai conflitti tra comunità indigene, lo Stato e le multinazionali, il volume cerca di dimostrare perché oggi l’Honduras è uno dei paesi più pericolosi per attivisti, giornalisti e indigeni.

Lakhani viveva a Città del Messico e copriva l’America Latina per il giornale britannico The Guardian quando Cáceres è stata uccisa il 2 marzo 2016. Allora ha avviato un lavoro d’inchiesta per il giornale, successivamente approfondito nel libro.

La giornalista Lakhani non nega di aver subito lei stessa intimidazioni per il suo lavoro d’inchiesta. Infatti, mesi dopo la morte di Berta, aveva pubblicato un articolo inerente un elenco di persone che dovevano essere eliminate e questo includeva il nome dell’attivista. Tale articolo generò una forte reazione da parte delle forze armate dell’Honduras, che hanno accusato lei ed il Guardian di volerne infangare la reputazione. Furono pubblicati articoli falsi su di lei, sulla sua professione e fu accusata di essere una «terrorista mediatica». Così, quando si recava in Honduras, arrivava sempre via terra, via Guatemala e tentava di cambiare le sue rotte, i luoghi in cui avrebbe soggiornato per tutelare la sua incolumità. Pur tuttavia ciò che ha passato non è niente in confronto a ciò che affrontano i militanti honduregni, che subiscono quotidianamente minacce e violenze, dal momento che questo è il modus operandi delle forze che comandano il Paese.

Racconta Nina Lakhani: “L’assassinio di Berta è stato l’ultimo passo di una campagna lunga anni che comprende minacce, molestie sessuali, violenza, tutte le pratiche di una guerra fredda contro di lei e la sua organizzazione. L’obiettivo era neutralizzarla e farla smettere di lavorare. Quando hanno visto che non si sarebbe arresa, l’hanno uccisa. Anche se sembrava improbabile: era l’attivista più conosciuta nelle Americhe, ha ricevuto il Goldman Prize, ha persino avuto un’udienza con il papa. I suoi figli non credevano che le minacce subite da anni si sarebbero concretizzate. La sua morte è emblematica. Oltre a difendere da sempre i diritti ambientali e umani, Berta aveva anche una capacità di negoziare con presidenti e contadini e di unire diversi gruppi. Ha avuto un ruolo molto importante nelle proteste sociali ed era riconosciuta in tutto il mondo, quindi rappresentava una minaccia per il progetto economico. Inoltre, è stato un crimine d’odio: l’Honduras è un paese molto maschilista ed è importante notare che lei è stata uccisa anche perché era una donna, una donna indigena. E questo lo Stato non lo ha mai riconosciuto.”

Il processo si è concluso con la condanna di sette persone solo perché la pressione internazionale è stata essenziale, tuttavia i sette condannati erano solo sicari. Ad oggi nessun mentore ha affrontato la giustizia.

Il presidente della Desa (la compagnia che progettava di costruire la diga sul fiume Gualcarque, che Cáceres ha cercato di impedire), David Castillo, è stato arrestato dopo due anni. È l’unico accusato di essere il mandante del crimine. Tuttavia, vi sono ampie prove del coinvolgimento di altre persone dell’azienda, membri di famiglie potenti, funzionari statali, ministri, comandanti di polizia che hanno avuto un ruolo nella morte di Berta per negligenza, omissione, per la campagna di terrore contro la comunità indigena di Lenca. Nessuno di loro è stato costretto a dare spiegazioni.

Va detto che se l’America Latina è oggi la regione più violenta al mondo per ciò che attiene gli attivisti ambientali e per i diritti umani, lo si deve alla certezza dell’impunità unita alla battaglia per le risorse naturali. Da un lato, abbiamo comunità indigene che vivono di queste risorse. Dall’altro, gli interessi economici. Questa lotta risale al colonialismo e ora, con le risorse naturali prossime all’esaurimento, si sta intensificando. Sono coinvolte anche le élite economiche, i politici, i militari e gli investitori internazionali che promuovono “energia pulita e rinnovabile” nelle comunità che saranno distrutte da quell’energia. Le banche internazionali stanno pagando per ogni omicidio finanziando quelli che Berta Cáceres ha chiamato «progetti di morte». Agiscono senza consultare le comunità, violando i diritti dei popoli indigeni, generando conflitti e spostamenti forzati.

Tutto questo avviene in Honduras e di tutto questo non si doveva e non si deve sapere, ecco perché le persone limpide, coraggiose ed oneste come Berta Cáceres rischiano la loro vita in nome di una verità negata, sotterrata, calpestata che nessuno può far emergere. E proprio per questo diventa necessario se non addirittura doveroso parlarne, perché la diffusione di informazioni e verità genera talvolta consapevolezza e desiderio di riscatto.
Mai dimenticare il potere delle parole. E la forza di far rivivere il ricordo e l’operato di persone come Berta Cáceres, è il solo mezzo che abbiamo per non rendere vana la loro morte e per far si che i loro progetti di legalità, le loro battaglie per l’ambiente ed i diritti umani siano portati a termine da chi ha seguito le loro orme. Noi ci crediamo, scriviamo per questo, perché di tutto rimanga una traccia e perché le giuste orme vengano impresse nella memoria e proseguite nella sostanza fino al traguardo finale.

di Stefania Lastoria

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