Buon Ferragosto dal mondo fuori dai cardini

“C’è del marcio in Danimarca”, dice il personaggio di Marcello e – subito dopo l’apparizione dello spettro paterno nel castello di Elsinore –, Amleto sentenzia: “Il mondo è fuor dei cardini; ed è uno scherzo della sorte ch’io sia nato per riportarlo in sesto”. A distanza di tre secoli abbondanti dalla più emblematica tragedia di William Shakespeare, niente sembra meglio attanagliarsi all’intero mondo attuale. Il simbolico marcio di quell’antico regno danese è oggi un virus pandemico che ha fatto uscire il mondo completamente fuori dai cardini.

Il mondo è poi uscito persino dai cardini termici e metereologici, considerate le temperature planetarie da lanciafiamme atmosferico, gli incendi a ettari, chilometri quadrati di boschi e insediamenti umani, la grandine che scende giù a blocchi, palle di cannone di ghiaccio, demolendo vetture in strada come tra i rottami di uno sfasciacarrozze. Ai no-vax, boh-vax, no-pass, sì-naz del fake-populismo e della neo-vetero-destra, si sono aggiunti ora i no-term. Questi, però, si qualificano come esperti. Sì, ammettono, un inizio di problema c’è, ma non catastrofizziamo! Una soluzione ancora industrialmente compatibile ce la inventeremo ad hoc. Ad affermare la catastrofe termo-climatica in atto, però, è un recentissimo dossier molto circostanziato dell’Onu, compilato da centinaia di esperti di tutto il mondo. E c’è poco da inventarsi: prima che diventino irreversibili, vanno immediatamente disinnescati tutti i fattori pirogeni, ossia alla base di un aumento mai prima sperimentato della febbre planetaria. A ripetere con voce strozzata I can’t breath, non posso più respirare, è l’intero pianeta. non è più soltanto un uomo, George Floyd, con il ginocchio di un poliziotto che non smette di schiacciargli il collo.

I neo negazionisti termici, come quelli vaccinali, negano soprattutto che siamo a un redde  rationem,  a un faccia a faccia della civiltà con sé stessa, senza più possibilità di rinvio. Gli oggetti e i processi artificiali dell’Antropocene, ossia dell’era terrestre dominata dall’umano, superano ormai quelli della natura. Stanno scalzando la natura, segando il ramo su cui siamo tutti seduti e da cui tutti traiamo vita e nutrimento. Non possiamo più limitarci a dei ritocchi estetici, al giardinaggio, a mettere aiuole, fioriere aeratori con essenze esotiche attorno ai colossali meccanismi energivori e divoratori di vitali fattori ed equilibri ambientali. In nome di cosa poi? Di quell’ultima mera sopravvivenza ideologica dei due secoli passati chiamata profitto capitalistico? È questo il vero ginocchio letale sul collo della Terra che le toglie il respiro.

L’Amleto shakespeariano riesce – sebbene piuttosto fortuitamente – a compiere la vendetta chiestagli dal fantasma del padre nei confronti della madre e dello zio che lo hanno assassinato. Non riesce, però, ad assolvere al compito gettatogli sulle spalle dalla sorte: rimettere il mondo in sesto, sui propri cardini. Ci riesce solo con la sua morte. In vita, invece, non fa che spargere altra follia dentro di sé e a intorno sé. La follia che condurrà alla perdita di senno e al suicidio persino l’amata Ofelia. Che Amleto sia allora una metafora non solo del mondo contemporaneo in dissesto, ma della stessa intera vicenda umana su questa terra? L’uomo che riesce a distruggere definitivamente ciò che più ama, da cui trae sostentamento materiale e linfa intellettuale, poetica, spirituale? Una cosa è certa: mai il suo essere o non essere, come monologo interiore di ogni uomo, fu più esistenzialmente pregnante che in questo infernale, arroventato Ferragosto.  

di Riccardo Tavani

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