Assalto all’oro del dio morto
Niente come l’oro richiama il sottosuolo che è nel titolo di questa rubrica. Dove è custodito l’oro di Bankitalia e delle altre banche centrali nazionali in tutto il mondo? In caveau, depositi, sacrestie, celle blindate sotterrane. Dov’è custodito il mito di una aura aetas, di un’età dell’oro che è al fondamento dell’Europa? Ne Le Opere e i Giorni, Esiodo, il grande poeta e pensatore greco dell’VIII secolo a. C, scrive: “Dapprima un’aurea generazione di uomini mortali crea gli Immortali, abitatori delle case d’Olimpo: s’era ai tempi di Crono, quando egli regnava nel cielo”. Il colore dorato nelle icone religiose russe è necessario, perché solo esso può consentire il passaggio di Dio nel nostro sguardo, nella nostra anima, coscienza.
L’età dell’oro è dunque nello strato più arcaico della nostra storia e cultura, nel sottosuolo stesso di ciò che noi abbiamo chiamato Tempo, Cielo, come ciò che imperscrutabilmente ci sovrasta, ci sovra determina. Il tempo è denaro, oro, e niente più del tempo e dell’economia, ancora oggi, rimangono per noi imprevedibili incognite. Tutta le nostre scienze, teorie filosofiche, antropologiche, fisiche, matematiche ed economiche sono mai riuscite neanche a definirlo il Tempo. Dunque neanche a prevedere i cataclismi economici che esso si trascina oscuramente dentro, nel suo immane, famelico, mutevole ventre.
Il ritorno all’esiodea età dell’oro, per quanto dichiaratamente mitica, è sempre stata e rimane però una meta concretamente concepita e febbrilmente perseguita da tutto il più grande pensiero storico europeo. Forse per questo, l’attuale governo italiano ha pensato di scendere sic et simpliciter, direttamente, materialmente nel sottosuolo di quegli aurei depositi bancari e portarsene via, vendersene una parte. Non solo, ma l’attacco alle fondamenta di Palazzo Koch, lo storico edificio di Banca Italia in Via Nazionale a Roma, non può che sbancare, spazzare via anche i piani di comando sovrastanti. Certo, per ascendere scendendo alla Sacrestia Oro– ossia il luogo dove è conservato il Sacro– qualcuno deve dare il permesso, oltre che consegnare le sei diverse chiavi fisiche di accesso e quelle legali, amministrative, procedurali. Di qui il simultaneo attacco ai vertici di Bankitalia, alle alte cariche operative in via di riconferma, come quella (ma non solo) di Luigi Federico Signorini a vice direttore. Una figura sgradita, per le sue critiche al reddito di cittadinanza, oltre che a quota 100.
A quanto ammontano queste riserve auree italiane, dove sono depositate, e si possono realmente prelevare, vendere? L’Italia è il quarto paese al mondo – dopo Usa, Germania e Fondo Monetario Internazionale – a detenere depositi aurei quale garanzia economica internazionale. 2.451,80 sono le tonnellate d’oro – in forma di 95.493 lingotti, o verghe, di peso vario, oltre che 871.000 monete d’oro – custodite nei forzieri italiani. Custodite non solo a Palazzo Koch, ma anche presso altri depositi nel mondo. 1.000-1.200 tonnellate presso la Federal Reserv Usa, a Fort Knox, nel Kentucky; 7-12 presso la Bank of England a Londra; 35-47 presso la Banca dei Regolamenti Internazionali a Berna, Svizzera. Le variazioni sono dovute a calcoli approssimativi, non avendo Bankitalia mai rivelato le quantità precise delle varie ripartizioni. 100 tonnellate, inoltre, di quelle custodite a Roma, appartengono legalmente alla Banca Centrale Europea (Bce), quale quota spettante all’Italia. Il valore complessivo di tutta questa massa aurea dipende dalle quotazioni del metallo prezioso. In questi primi mesi del 2019 è quotato a 33,34 € a grammo. Nel suo blog Beppe Grillo ha calcolato che il valore complessivo di tutto l’ammasso aureo italiano si aggira attorno ai 100 miliardi di euro. Il Direttore Generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, nel suo libro Oro, scrive invece che il valore oscilla attorno agli 80-90. Ammasso che comunque non è mai stato toccato, mentre altri paesi europei – Francia, Spagna, Portogallo e persino la Germania –, lamenta Grillo, ne hanno venduto quote varianti tra il 20% e il 60%.
A chi appartenga legalmente questo oro non è del tutto chiaro. Il sito ufficiale di Bankitalia recita laconicamente: “La proprietà delle riserve auree ufficiali è assegnato per legge alle Banca d’Italia”. Questo anche in relazione all’ingresso negli ultimi anni delle banche private nell’azionariato della Banca Centrale. La titolarità legale dell’oro e la cruciale questione della cosiddetta autonomia, indipendenza di Palazzo Koch dal governo sono dunque non semplicemente legate, ma incatenate, imbullonate una con l’altra. Per questo l’attacco al polo dell’oro non può che rivolgersi simultaneamente anche contro quello dell’autonomia. Un attacco che viene d’altronde da lontano e da fronti diversi.
Quarant’anni fa il Governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi, è incriminato insieme al Direttore Generale, Mario Sarcinelli. Quest’ultimo è anche arrestato nel suo ufficio a Palazzo Koch e trascinato nel carcere romano di Regina Coeli. Si tratta di una montatura della destra democristiana andreottiana e fascista. Baffi e Sarcinelli – proprio in nome dell’autonomia istituzionale della Banca Centrale – non si erano sottomessi al volere governativo e della loggia massonica P2 di sistemare gli illeciti debitori della famiglia Caltagirone. Per arrivare, poi, a tempi più recenti, nell’ottobre del 2017, il leader del Pd Matteo Renzi muove un attacco a freddo, pubblico e frontale contro Ignazio Visco, contestando l’autonomo diritto legislativo di Bankitalia a riconfermarne la carica di Governatore. L’attacco era stato preceduto dalla istituzione dellaCommissione Parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, presieduta da Pierferdinando Casini. Marito di una Caltagirone, quella carica gli è valsa la successiva elezione a Senatore nelle liste del Pd a Bologna, da storico esponente della Democrazia Cristiana non certo di sinistra che sempre è stato.
L’oro fin qui estirpato dal sottosuolo di tutto il pianeta equivale a 190 mila tonnellate, mentre altre 56 mila sono pronte ad essere eviscerate. C’è però un sottosuolo più ancestrale: quello mitico, filosofico, antropologico. Se ne rese conto uno delle menti economiche più geniali della modernità: l’inglese John Maynard Keynes. Il fondatore di un’itera dottrina economica progressista riferita al suo nome, quella keynesiana, già nel 1924 definisce l’oro “un relitto barbarico”. Tanto più dovrebbe esserlo oggi. Risale al 1971 l’abolizione da parte degli Usa della parità oro-moneta, garantita dal Gold Standard, sulla scorta del quale chiunque poteva presentarsi ad uno sportello bancario e chiedere che le sue banconote fossero cambiate in un corrispondente valore del prezioso metallo giallo.
Nell’era elettronica, poi, il residuo appare – più che barbarico – preistorico. Quando basta il click di un qualsiasi dispositivo digitale per spostare capitali, masse monetarie, scavalcare confini nazionali, bancari, legislativi. Quando basta una tecnologia come quella chiamata blokchain, ossia dei blocchi informatici incatenati e autocontrollantisi, per garantirsi nel web, può avere ancora un senso il residuo aureo delle caverne?
Si afferma che l’oro rappresenti ancora oggi la materializzazione della più immateriali tra le sostanze economiche: la fiducia. È proprio questa sostanza, però, che viene interamente meno, che crolla sotto le volte delle inconsce caverne umane. La fiducia è innanzitutto fiducia in una verità. Che una verità esista. E questa verità ha preso nella storia umana nomi diversi: Fuoco, Dio, Re, Stato, Ragione. E niente come la purezza, l’inossidabilità dell’oro rappresenta la stabilità di un fondamento di verità.
Ma se la verità del presente è l’uomo stesso che tecnicamente se la fabbrica, se la fa da solo ad ogni nuovo passo che mette davanti all’altro. Se proprio a condizione che non esista alcuna Verità, con la V maiuscola, l’uomo è autenticamente libero di esprimere verità efficacemente transitorie, utilmente malleabili, strumentali, procedurali, workin progress, come atto esclusivo della sua volontà di potenza. Se la verità non deve, non può più avere alcuna autonomia, fuori, sopra e sotto l’umano, ma è revocabile ad ogni nuovo successivo istante, che senso ha più l’aureo residuo veterotestamentario? È lo stesso luogo di sotterra che lo custodisce a svanire. La vil moneta umana – fisica o virtuale che sia – non ne ha più bisogno. Fa religione a sé.
Così l’assalto all’oro del forziere nazionale centrale è sia un riflesso inevitabile, sia un’attuazione storica determinata di questo neo barbarismo tecno-elettronico umano. Proprio come quando Nietzsche sentenzia nel suo celebre Così parlò Zaratustra: “Dio è morto”. Perché la presa diretta dell’oro dal sottosuolo non è esattamente la buona novella di un ritorno alla mitica età dell’oro. All’opposto: la cronaca della sua prosaica, definitiva perdita.
di Riccardo Tavani