Marco se n’è andato e non ritorna più

Un’intercettazione fa luce sul caso. Ma non ci riconsegnerà il “Pirata”

Un mese fa è scattato il dodicesimo anniversario dalla morte di Marco Pantani. Una morte atroce, forse annunciata, in quel giorno di San Valentino indicibilmente luttuoso per lo sport italiano. Finì in una camera d’albergo la triste storia di un campione ormai in declino, vittima com’era (o meglio, come hanno voluto farci credere) dell’abuso di sostanze stupefacenti.
Sin da subito, infatti, quella stanza al quinto piano del residence riminese “Le Rose” sembrava quasi manomessa, lasciata in un disordine sospetto, forse messo in piedi da chi voleva che lo si associasse all’opera di un uomo in preda all’overdose. Per non parlare, poi, dei lividi trovati sul corpo di Marco, compatibili con una pressione fisica che probabilmente servì a fargli assumere la dose letale.
«Solo illazioni», disse in seguito la Procura di Rimini, che giustizia non fece archiviando il caso come puro suicidio. Una tesi, questa, di cui non è mai stata convinta la madre di Marco, Tonina, né tantomeno il pm della Procura di Forlì, Sergio Sottani. Sottani si è rimboccato le maniche, ha collezionato prove e sviluppato deduzioni, fino a produrre risultati. Concretezze. Verità.
«La camorra ha fatto perdere il Giro d’Italia a Pantani, cambiando le provette e facendolo risultare dopato». Risultati, concretezze e verità traspaiono da un’intercettazione ambientale raccolta durante una telefonata che un detenuto napoletano fa a una sua parente subito dopo esser stato interrogato nell’ambito dell’inchiesta sulla morte del ciclista romagnolo.
Un documento prezioso, pubblicato da Premium Sport e che valorizza quanto asserito al riguardo dal noto boss milanese Renato Vallanzasca. “René” ha infatti riconosciuto nella voce la stessa persona che, nel 1999, al carcere di Opera gli confidò l’esito di quel Giro d’Italia, invitandolo perciò a puntare tutti i suoi soldi sulla vittoria dei rivali del “Pirata”. «Guarda che il Giro non lo vince lui: fidati, non arriva alla fine», gli disse l’uomo.
Un epilogo tragico, da far rabbrividire perfino i più scettici e che delinea un quadro chiaro, dalle trame ben delineate, che tuttavia, anche se venissero confermate, non andrebbero a intaccare quella verità giudiziaria ormai già prescritta. D’altronde l’ha detto la stessa madre di Marco: «E’ qualcosa che aspettavo da anni, ma di certo non riavrò più mio figlio indietro».
Sottani ha così ricostruito tutto, spinto com’era dal suo anelito alla verità, che lo ha portato a risalire l’intera catena di comando di un’operazione che gettò ombre e discredito sul ciclista romagnolo. Fango dopo il quale Pantani non è mai più tornato davvero in bicicletta, fino alla morte, atroce, forse annunciata, in quella stanza al quinto piano di un residence riminese.

di Massimo Salvo

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