Via dei Georgofili. La strage.

Patrizia Vindigni Vice Direttore

C’era la mafia la notte tra il  26 e il 27 maggio del 1993 in un vicolo di Firenze. I suoi uomini si muovevano nell’ombra con un carico di esplosivo, piazzato su un Fiat fiorino, lasciato in un punto ritenuto strategico per un attentato che avrebbe dovuto raggiungere, con il suo boato, i centri di potere. La bomba e le richieste della mafia, il boato e le parole, il ricatto della mafia allo stato, tutto questo era presente quella notte. L’esplosione fu violentissima, via dei Georgofili diventò lo scenario tipico di una città in guerra.

In quella strada, nei giorni precedenti l’attentato, erano passati, per un’ispezione dei luoghi, gli uomini di Cosa Nostra, compreso il boss Matteo Messina Denaro, ma il luogo dell’attentato era stato deciso in precedenza, in un incontro tenutosi in Sicilia, vicino Palermo. L’esplosivo, piazzato sul Fiat fiorino in grande quantità, oltre i 200 kg, era stato ricavato da ordigni bellici. Il suo innesco quella notte, provocò un cratere di due metri di profondità e tre di diametro. La torre dei Pulci, di via dei Georgofili, non resse all’impatto dell’onda d’urto e, crollando, trascinò con sé, nella sua fine, tutta la famiglia Nencioni: un papà e una mamma, Fabrizio e Angela e le loro due bambine (Nadia di nove anni e Caterina di soli due mesi). Un altro giovane morì, in un appartamento vicino, nell’incendio che seguì all’attentato: Dario Capolicchio. Aveva 22 anni.

Più di quaranta persone restarono ferite.

Un incubo generato dall’intento dichiarato di Cosa Nostra di ottenere l’eliminazione dell’art.416 bis. L’organizzazione dalle profonde radici sul territorio italiano riuscì, in quegli anni, ad ottenere l’attenzione del nostro governo attraverso la violenza, uccidendo, spargendo sangue, anche di piccole vittime innocenti, su tutto il territorio dello stato. L’attentato di Firenze, infatti, non fu l’unico degli anni ’92-’93. Attentati a Roma, Milano vennero tutti rivendicati sotto l’unica sigla di “Falange armata”, tra questi anche l’attentato al conduttore televisivo Maurizio Costanzo, a Falcone e Borsellino.

Nonostante l’arresto dei mandanti interni di Cosa Nostra,  (sfugge, in quanto latitante, il boss Matteo Messina Denaro), ancora oggi non si ha la certezza se, dietro di loro, si nascondessero altre menti, di cui gli uomini di Cosa Nostra costituirono solo la parte esecutiva. Il dubbio nato anche dalla parole di uno di loro, Giuseppe Ferro, che durante il processo affermò: “ … a noi della mafia, quelle stragi non interessavano”, come ricordava Giovanna Maggiani Chelli, costituitasi successivamente parte civile nel processo sulla trattativa stato/mafia, in un’intervista del 2008.

Utile alla ricostruzione dell’evento è stata la collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza che fece luce, con le sue rivelazioni, sui nomi di chi decise la strage e anche sulle modalità esecutive dell’attentato.

Alla riunione nella quale si stabilì dove colpire erano presenti, oltre allo stesso Spatuzza, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano e Giuseppe GravianoMatteo Messina Denaro e Francesco Tagliavia, quest’ultimo condannato all’ergastolo, per la strage, nel 2011 dalla Corte D’Assise di Firenze.

La mafia stragista quella notte ha colpito duramente il cuore del paese, trascinando alla morte cinque giovani vite e distruggendo parte del nostro patrimonio culturale.

di Patrizia Vindigni

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