I terreni della droga

Patrizia

Quando si va a lavoro e si chiude la porta di casa alle spalle, con i pensieri già proiettati al lavoro, si dà per scontato che, dopo qualche ora si rientrerà dai propri cari. La casa resta nel nostro cuore, una compagnia silenziosa, messa un poco in disparte, ma una certezza che, con i suoi affetti, ci attende. Probabilmente è stato così anche quella sera per Mirarchi, il carabiniere di 53 anni ucciso durante un appostamento nelle campagne siciliane.
Un uomo che. in cronaca. ci viene restituito in una foto in divisa, un sorriso accennato e l’indicazione di quanto accaduto.
Era sera. In una località del trapanese in contrada Scacciaiazzo, non lontano da Marsala, Silvio Mirarchi con un collega, entrambi in borghese, stanno controllando la zona per verificare se esistono coltivazioni di marijuana. Qualcuno esplode contro di loro dei colpi di arma da fuoco. Silvio Mirarchi è raggiunto alle spalle e resta gravemente ferito ad un rene e all’aorta. I tentativi di salvarlo con un intervento chirurgico, preceduti dal coraggioso e immediato aiuto del collega, risulteranno vani. L’organismo non regge alla perdita di sangue. Muore Silvio Mirarchi mentre stava svolgendo il suo lavoro, perché con un altro carabiniere aveva localizzato delle coltivazioni di marijuana.
Nel territorio pare che molti si siano fatti tentare dall’idea del facile guadagno attraverso la coltivazione di piante da cui ricavare droga. In quella piantagione ne sono state estirpate ben seimila piante. Gli investigatori individuano Francesco D’Arrigo come proprietario del podere e, dopo averlo interrogato, i loro sospetti si concentrano su Nicolò Girgenti che, arrestato, continua a proclamare la sua innocenza.
Nella stessa zona, prima dell’uccisione di Silvio Mirarchi, si era verificato un altre grave episodio: era stato rinvenuto il corpo bruciato di un uomo. Probabilmente un rumeno, ferito in quella zona durante una sparatoria.
Modi e modalità di questi episodi richiamano alla mente la violenza dei cartelli colombiani. Sono diversi i luoghi in cui spara ma, alla base, le similitudini sono molte. Esistono piantagioni di droga che sono da sorvegliare. Se ne deve impedire il furto, la scoperta, si deve proteggere il futuro arricchimento. Si abbandonano le coltivazioni poco redditizie di grano, orzo, vegetali, per introdurre nelle serre o tra altre coltivazioni quanto, con qualche rischio legale, è immediatamente produttivo di soldi. La monetizzazione delle coscienze. Sparisce la puzza dell’illegalità con un ventaglio da banconote da 500 euro.
La Sicilia negli ultimi anni occupa i primi posti per i sequestri aventi ad oggetto coltivazioni di marijuana. Decine di migliaia di chilogrammi coltivati in serra, su terreni fertili, con un clima favorevole. Agricoltori ormai ridotti alla fame che continuano a fare il loro lavoro, cambiando il prodotto, cedendo i loro terreni alla mafia, prestando la propria competenza o la loro semplice sorveglianza armata contro chi si avvicina troppo ai terreni coltivati.
Hashish e marijuana di provenienza siciliana raggiungono, dall’isola, il resto d’Italia. Il fenomeno diffuso in un primo momento nella Sicilia occidentale, si è allargato anche alla parte orientale. Ragusa, Siracusa, Catania non sono indenni dalla produzione. E’ di questi giorni la notizia del sequestro, in una zona compresa tra Siracusa e Catania, di circa 2500 piantine, con una produzione di almeno tre tonnellate di merce di ottima qualità, ricercata sul mercato. Sradicare il fenomeno, se non si restituisce agli agricoltori la possibilità di tornare a vivere del loro lavoro, sarà un futuro difficile impegno.
Sul terreno resta il sangue di chi deve investigare per combattere. A fine maggio Silvio Mirarchi, carabiniere, non è rientrato a casa.

di Patrizia Vindigni

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