CRIMINI DI PACE

Morti sul lavoro. Morti per mangiare. Morti. Dicono caduti sul lavoro, ma non sono caduti. Sono morti, sfracellati al suolo dalle impalcature, sfracellati da carichi pesanti, da lastre, da container, tirati nei tritarifiuti. Muoiono per far studiare i figli. Muoiono sul lavoro per mancanza o inapplicabilità dei sistemi di sicurezza. La sicurezza costa. La sicurezza abbassa il profitto. La sicurezza salva le vite, ma se non viene applicata miete le vite.

Giordano Bruno, magistrato, da poco nominato alla guida dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dice che quelle morti sono un “crimine di pace”. Muoiono, in Italia, più di tre persone al giorno sul lavoro, un “crimine di pace”. Un crimine. Donne che non tornano a casa. Uomini che non tornano a casa. Bambine senza mamme. Senza papà. Che ricevono la notizia, spesso dalla tv. Non capiscono come possa succedere. I genitori escono di casa per andare al lavoro e non tornano. Muoiono. Sul lavoro. Loro, i figli, non capiscono come possa accadere. Di colpo tutto cambia. Si diventa orfani del lavoro. Ma dovrebbero essere orfani di “crimini di pace”. Crimini di pace, più feroci dei crimini di guerra, perché avvengono con il consenso obbligato della vittima, pena il licenziamento. Il ricatto, a cui vengono sottomesse le lavoratrici che disattivano il sistema di protezione, dove c’è, è il mantenimento del posto di lavoro. Allora si rischia la vita, e spesso, la vita si perde. Muoiono sul lavoro, per poter lavorare. Così Laila el Harim, una lavoratrice quarantenne assunta da un mese come capo macchina in una azienda di scatole e vassoi per pasticcerie, è rimasta intrappolata in una fustellatrice sulla quale era stato disattivato il dispositivo di sicurezza, come hanno appurato gli ispettori del lavoro arrivati dopo l’incidente. Un crimine di pace. Così come gli altri cento e cento, per un totale di tre morti al giorno. Qualche settimana prima, Luana, era rimasta impigliata in un orditoio, che secondo i periti, non aveva la saracinesca protettiva abbassata. La perizia ha rilevato che era stata disattivata la fotocellula che avrebbe attivato in maniera automatica la protezione. Centinaia di morti. Centinaia di crimini. Avvengono per aumentare il profitto dell’imprenditore a rischi della vita delle donne e degli uomini, che non faranno ritorno a casa, lasciando figli, orfani del lavoro, o meglio di crimini ci pace.

Perché si continua a morire di lavoro o di crimine di pace?  La risposta è semplice e nel contempo raggelante. Si continua a morire di lavoro o di crimine di pace perché ogni modifica all’organizzazione del lavoro e ogni investimento che abbiano come criterio la salvaguardia e l’incolumità della vita, rappresentano un costo per l’imprenditore che non vuole abbassare il suo profitto. È una questione di soldi. La vita delle lavoratrici, è una questione di soldi. I crimini di pace, si commettono, nell’indifferenza dei governi, per una questione di soldi. La vita viene cancellata, in un attimo, per una questione di soldi. Veri e propri crimini di pace.

di Claudio Caldarelli e Eligio Scatolini

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