De Carolis difende il titolo

Lamberto

Quella che Giovanni De Carolis ha scritto lo scorso 16 luglio è un’altra pagina di storia per lo sport italiano. Eppure nessun titolo, nessuna prima pagina, nessun servizio al telegiornale.

Si può vincere un titolo mondiale senza fare notizia, si può vincere in silenzio contro diecimila persone. Tante ce n’erano alla Max-Schmeling-Halle arena di Berlino dove il pugile romano difendeva contro Tyron Zuege il titolo di campione dei Supermedi.

Alla fine ha vinto De Carolis, sette anni più vecchio del suo avversario, imbattuto da 18 match e considerato la stella nascente del pugilato tedesco. Un campione del mondo tutto italiano, senza fare notizia.

“Un bel traguardo a livello personale. Anche se penso a tanti dei nostri pugili, se avessero la possibilità già a vent’anni, come succede in Germania, di disputare certi match potrebbero avere una preparazione migliore. In Italia però mancano le possibilità economiche”.

Poca visibilità, pochi sponsor, pochi soldi. Ed ecco che lo sport nobile diventa una disciplina di serie B. In Italia, la boxe è tra gli ultimi per audience ed attrattiva. Vengono prima il calcio (16 milioni e mezzo di spettatori per l’ultimo Italia-Germania, ovvero il 66,5% dello share), Formula1 e MotoGP, seguiti da ciclismo (Giro d’Italia e Tour de France), pallavolo e basket. Superano il pugilato anche il tennis e il golf.

I numeri non cambiano se dal televisore ci si sposta alla visione dal vivo. Per l’incontro De Carolis-Zuege c’erano dieci mila persone. Tutti tedeschi, appena un centinaio i tifosi italiani (inclusi amici, parenti e membri dello staff del pugile). Cifre da capogiro se si pensa che, dalle nostre parti, per un match di boxe di primo livello non si raggiungono le mille presenze.

La radice del problema è nella partecipazione allo sport: i genitori dei più piccoli scelgono soprattutto quelli di squadra. Decisioni su cui pesa ancora una volta la televisione che bombarda giornalmente di calcio. Così, per molti, è meglio assomigliare a Zaza e Pellè che a un campione del mondo di boxe.

di Lamberto Rinaldi