Il referendum del nostro scontento

TavaniL’inverno del nostro scontento è il titolo di un celebre romanzo di John Steinbeck del 1961 che riprende, a sua volta, il primo verso nel monologo del Riccardo III di Shakespeare: “Ora l’inverno del nostro scontento/ è reso gloriosa estate da questo sole di York”. In entrambe le opere c’è un decisivo elemento di perversione che tocca direttamente i protagonisti. Perversione apertamente e immediatamente dichiarata nella tragedia shakespeariana; racchiusa in questa piccola frase nel romanzo steinbeckiano: “Non c’è al mondo persona più pericolosa di chi vuole fare del bene”.

L’Italia del nostro prolungato, invernale scontento sembra dover all’improvviso rendersi gloriosa estate al sole della riforma costituzionale sottoposta a referendum popolare il prossimo autunno. Estate per chi, però? La Costituzione tuttora vigente in Italia è il risultato di un patto. Un patto tra i vincitori della seconda guerra mondiale contro il nazifascismo, Usa, Inghilterra e Urss in primo luogo. In Italia stipulanti e garanti di questo patto – sancito a Jalta da Stalin, Churchill e Roosevelt – furono principalmente De Gasperi e Togliatti, Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano. L’una per l’alleanza delle potenze atlantiche, l’altro per l’Unione Sovietica. Nel patto costituzionale era implicitamente sottoscritta l’appartenenza dell’Italia alla sfera d’influenza atlantica, americana.

L’equilibrio mondiale post-bellico da cui scaturisce quel patto, quella Carta Costituzionale non esiste più da una trentina d’anni. È venuto meno uno dei due poli della diarchia planetaria: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, l’URSS. La Germania ha riunificato nel cuore aritmico dell’Europa tutto il suo potere di risorse e produzione industriale. È sorta la Cina come travolgente gigante economico mondiale. Non solo. L’intero pianeta ha subito una tale tecno-mutazione elettronica sia in campo scientifico sia economico da aver sconvolto tutti i precedenti parametri e confini geo-politici e statuali. In Europa e all’interno di tutti i paesi occidentali non c’è stata più una guerra. La domanda allora è: chi sono i vincitori di oggi? Chi sono i nuovi poteri su cui calcolare il poligono delle forze in gioco e dosare un nuovo equilibrio, un neo patto sociale e costituzionale? Non essendoci stati vincitori e vinti in un teatro tradizionalmente bellico e dentro confini vetero-nazionali chi e come instaura questo nuovo equilibro? Il vecchio patto costituzionale italiano fu discusso, elaborato, scritto e sancito dalle migliori intelligenze politiche, giuridiche e culturali del Paese, tenendo conto proprio dei reali rapporti di forza internazionali e nazionali. La limpidezza e semplicità è la forma linguistica come aspetto del contenuto civile di quella Carta, pur nelle contraddizioni e tensioni interne rimaste irrisolte, sospese, tra cui quelle non trascurabili con lo Stato Pontificio.

Ora nel nostro Parlamento non ci sono più partiti rappresentanti nazionali di potenze politico-militari internazionali. Anzi, non ci sono più neanche partiti propriamente detti. Tutti i neo-partiti sono dentro la grande corrente che scorre tra le due sponde dell’Atlantico: Europa e Usa. I vincitori di oggi non dettano la resa e non si siedono poi attorno a un tavolo, mettendo sulla bilancia le rispettive armate navali, aeree e di terra, i confini conquistati e le spese di guerra da imporre agli sconfitti. I vincitori di oggi continuano ad attaccare, cannoneggiare, sganciare ordigni non bellici ma finanziari, monetari, tecno-scientifici. Non è un patto pur a loro vantaggio quello che perseguono ma un’imposizione continua, mutevole, flessibile, deregolata. Non hanno bisogno di cervelli ma di meri esecutori; non di un concorso delle diverse forze parlamentari e aree culturali, ma di mere emanazioni governative. Non una lingua tersa distillano ma stratificano fitti tabulati di comma e rimandi da governance gerarchico-amministrativa. “Sono deciso a dimostrarmi una canaglia… ho teso trappole, ho scritto prologhi infidi con profezie da ubriachi”, afferma Riccardo III nel monologo shakespeariano: i vincitori di oggi non hanno più bisogno di dirlo, ne sono l’incarnazione.

Di fronte a tale scena, quanto potrà la mera difesa della passata, gloriosa costituzione rappresentare un riparo giurisdizionale per difendere i nostri diritti civili e sociali? Ossia asserragliarsi dietro quel vecchio nobile scudo, senza però la possibilità di aggiornare ed espandere quei diritti non solo alle persone ma anche all’ambiente gravemente minacciato dalla logica e dalla prassi del profitto privato? Aldilà dell’esito del referendum e delle sorti dell’attuale governo, il tema è inesorabilmente destinato a ripresentarsi. Allora la giusta pretesa di “voler far del bene” non potrà evitare il rischio di dimostrarsi la cura più pericolosa del male che voleva curare. Si sarà così necessariamente costretti a mettere all’ordine del giorno della discussione e della partecipazione pubblica una visione e una possibilità di Costituzione che sia all’altezza della nuova tappa storica che già si è aperta.

di Riccardo Tavani