La linea di vergogna tra immigrati e terremotati

Quando la notizia del terremoto che ha messo in ginocchio alcuni comuni del Centro Italia era ancora fresca, da più parti (politici, giornali, social network) si alzavano commenti che paragonavano indignati la situazione drammatica degli sfollati con un presunto trattamento d’oro per i profughi presenti in Italia. Terremotati contro immigrati. Questo era lo scopo, non so quanto consapevole. Come se la soluzione fosse una guerra tra poveri.
Invece, la realtà è un’altra e, guardando ai dati, emerge chiaramente: 3.168 persone sono morte o scomparse nel Mediterraneo solo nel 2016 (al 31 agosto); 2.731 solo nella rotta del Mediterraneo centrale, quella che conduce in Italia.
Spesso questi dati suonano freddi e ci smuovono assai poco, per colpa della facile assuefazione alla tragedia. Ma forse in questo momento possono farci riflettere di più se pensiamo a quelle circa 300 vittime che tanto ci hanno sconvolto nei giorni scorsi. Per quanto possa essere odioso parlare di numeri in questo caso.
Se sembrava ci fosse una rallentamento degli sbarchi rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ora i numeri mostrano che negli ultimi giorni di agosto e nei primi di settembre questi hanno avuto una forte impennata. Nonostante il blocco della rotta dei Balcani, il flusso non diminuisce. Una prova in più che i muri non servono a nulla.
La quasi totalità dei migranti che sbarcano sulle coste italiane vengono dai paesi dell’Africa sub sahariana: Nigeria, Eritrea, Sudan, Gambia per citarne alcuni tra i più comuni.
Molti di questi migranti sono rifugiati. Un’altra parte, invece, rientra nella categoria dei migranti economici. Quasi come se questa fosse una mancanza. Spesso le parole quando rimangono generiche e non corrispondono ad un concetto concreto possono portarci fuori strada e mostrarci una realtà che non esiste. Molte volte ci risulta complicato dare un volto a queste storie. Eppure, se ci sforzassimo un attimo e cercassimo di immedesimarci nell’altro, non sarebbe difficile immaginare che, se una persona sana di mente decide di lasciare tutto e intraprendere un viaggio tanto incerto, probabilmente non ha altre alternative. Solo qualcuno in una situazione disperata può decidere di lasciare la propria famiglia, il posto in cui è nato, per un viaggio in cui il Mediterraneo non è che l’ultima tappa e che potrebbe durare anni.
Il deserto, la paura, gente senza scrupoli, spesso il carcere e le violenze. Queste sono le cose che probabilmente dovrà affrontare. Le donne, in più, rischiano anche violenze sessuali, e per questo decidono spesso di partire con una gravidanza avanzata sperando così di evitare almeno questa eventualità.
Immaginate per un attimo di stare nella vostra casa, con la vostra famiglia, e un giorno qualcuno arrivi da voi e dai vostri vicini e vi spieghi che il governo ha ceduto il controllo della terra in cui sorgono le vostre case ad un impresa estera, per farci una piantagione di canna da zucchero. Tutto il villaggio dovrà essere spostato. Questa non è una storia inventata. Questo è ciò che è successo ad un piccolo villaggio del Togo, che aveva la sola sfortuna di vivere vicino ad un grosso bacino d’acqua. Questo succede comunemente anche in Etiopia e in molte altre parti dell’Africa. Questo succede ovunque i diritti di proprietà non siano tutelati. E non importa se coltivate da sempre quel pezzo di terra perché il governo, a propria discrezione, può espropriarlo e affittarlo.
Perché dovrebbe interessarci?Tutto ciò ci riguarda dal momento che, quasi sempre, quelle imprese estere vengono dalla Cina,dall’ Arabia Saudita,dal Nord America, ma anche dall’Europa.
Il terzo principio della dinamica afferma che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Quindi, senza scomodare il colonialismo e le tratte degli schiavi, se ancora oggi il profitto è l’unica cosa che muove certe scelte allora, prima o poi, arriveranno le reazioni.
Questo, in realtà, è l’unico parallelismo da fare fra terremotati e immigrati. Se ogni tanto ci preoccupassimo prima delle conseguenze delle nostre azioni , avremmo meno problemi da risolvere poi.

Di Pierfrancesco Zinilli