Attilio Manca: riapertura delle indagini per omicidio dopo il lungo silenzio

La storia di Attilio Manca è il troppo breve racconto della vita di un giovane, bravissimo, urologo siciliano. Nato a San Donà di Piave il 20 febbraio del 1969, fu ritrovato morto, in circostanze misteriose il 12 febbraio del 2004, a Viterbo. Si parlò in modo affrettato di una morte per overdose, per inoculazione di sostanze stupefacenti, e di una volontà suicida del giovane. Sono trascorsi tredici anni dall’omicidio di Attilio Manca. e la famiglia dal 2004, giorno dopo giorno, ha cercato la verità sulla sua fine con determinazione, contro ogni silenzio e contro ogni, eccessivamente rapida, conclusione delle indagini. Il fratello, Gianluca Manca, i suoi genitori, non intendono fermarsi se non quando il velo che copre la sua fine, sarà sollevato.

Nel corso della nostra conversazione la voce di Gianluca Manca, gentile e attenta, rivela grande disponibilità mentre, per l’ennesima volta, racconta alcuni degli aspetti di una vicenda che non appare ricostruita in modo né chiaro né lineare. Il tono delle sue parole è amaro e doloroso quando sottolinea il senso di abbandono della sua famiglia da parte delle istituzioni perché, spiega: “ fa rabbia, tanta rabbia e soprattutto c’è l’insoddisfazione nostra di non trovare riscontro, non tanto giuridico, ma nelle istituzioni. Questa è la cosa peggiore.”

Quelle istituzioni in cui ognuno penserebbe di trovare tutela, nel caso dell’uccisione di Attilio, non solo non sono presenti, ma, anzi, sembrano preferire che il silenzio cali sulla vicenda. Un silenzio che trova la sua eco nell’assenza dell’attenzione dei mass media, nel difetto dell’ascolto delle ragioni dei familiari. Nel mancato ascolto del pentito Carmelo D’Amico, che ha chiaramente dichiarato che il giovane urologo è stato ucciso dai servizi segreti deviati per ordine di Cosa Nostra. Le dichiarazioni risalgono a circa un anno fa. Da allora il solito silenzio.

Gianluca Manca lo sottolinea: “Sembra caduto anche questo nel nulla. Noi siamo angosciati per questo. Se non ci fossero stati dei rilievi, delle prove, probabilmente non avremmo gridato verità e giustizia…saremmo rimasti in un angolo con il nostro dolore, a piangere il nostro caro. Quando però ci sono delle prove provate, che parlano da sole, credo che qualunque persona avveduta si sarebbe comportata come noi”.

In tutto questo la procura di Viterbo, interessata dalle indagini per territorialità, non ha mai sentito i medici, paramedici, amici e familiari vicini ad Attilio, ma, come racconta Gianluca Manca: “la Procura ha voluto sentire, a sommarie informazioni, delle persone con le quali Attilio non si vedeva da oltre vent’anni, che hanno dichiarato di ricordare che Attilio si drogava con la mano sinistra e con la mano destra (n.d.r. una delle contestazioni fatte alla ricostruzione della morte del giovane è proprio legata al fatto che, essendo mancino, non si sarebbe mai potuto iniettare con la mano destra, nel braccio sinistro, la dose letale)”.

Nella voce, ferma, di Gianluca Manca resta presente quella nota di un dolore irrisolto, una sete di verità e di giustizia che ha il suono del grido di chi non si sente ascoltato, di chi sa di dire il vero e non è creduto.
Quali interessi possono essere tali da rendere lecito e accettabile il fango gettato su una persona dalla vita limpida, dedito al suo lavoro per giornate intere, un chirurgo giovane e al contempo abilissimo. Il fratello li definisce “Interessi sovrastanti”; sono gli interessi di chi aveva creato una rete di protezione intorno a Bernardo Provenzano, gente legata alla mafia, non della mafia, in trattativa con la mafia.

Non si deve dimenticare, infatti, che Bernardo Provenzano fu operato all’estero, a Marsiglia, muovendosi senza problemi, senza essere identificato, segnalato, riconosciuto. Per poi rientrare in Italia a trascorrere i postumi operatori nel Lazio, in provincia di Viterbo, a Civita Castellana e Bagnoregio. A questo proposito il fratello di Attilio afferma: “con tutti i mezzi investigativi a disposizione dell’antimafia perché non risalire all’urologo che ha avuto in cura Bernardo Provenzano in provincia di Viterbo? Perché scegliere questa zona?”. Già … perché? perché non si riesce a risalire al bravissimo medico alle cui mani si è affidato Provenzano nel suo soggiorno a Viterbo. Impossibile pensare che si tratti di una coincidenza.

Attilio Manca dopo l’incontro con Provenzano diventò sicuramente una persona scomoda, per quello che poteva aver visto, compreso, saputo, del meccanismo volto a tutela del boss mafioso di Cosa Nostra. Potrebbe aver capito che non solo la MAFIA tradizionalmente conosciuta come tale, si muoveva a fianco di uno dei padrini latitanti. Potrebbe aver capito che le collusioni tra il mondo delle istituzioni e la cupola erano presenti e sicuramente molto più diffuse di quanto ancora oggi riusciamo ad immaginare.

L’omicidio di Attilio nasce in quella pericolosa zona di confine in cui servizi segreti deviati, mafia, istituzioni, si muovono e non vogliono clamore.
Ecco il perché del silenzio da cui la vicenda è circondata. Un silenzio che viene rotto solo da pochi interventi, dalla voce dolcissima della madre di Attilio Manca, da quella ferma e gentile del fratello e di quelli che ancora insistono perché sulla morte sia fatta piena luce. A chi dovrebbe rompere questo muro di gomma questo silenzio fa comodo, perché si vorrebbe far cadere nel buio del dimenticatoio l’accaduto. Un giovane morto in cambio della salvezza di alcuni. Chi sono questi alcuni? Chi ha contattato Attilio, chi lo ha accompagnato nel luogo dell’intervento, chi ha tenuto i contatti successivamente all’intervento?

Gli avvocati Ingroia e Repici, nel frattempo, fiduciosi in una soluzione chiarificatrice della vicenda, hanno depositato di recente un’altra denuncia presso la Procura di Roma, che dovrebbe, lo si spera, portare delle novità, verso la verità, grazie alle dichiarazioni di un altro pentito e grazie alla riapertura delle indagini sul caso per omicidio.

Essere a fianco della famiglia Manca è doveroso, perché Attilio è il fratello, il figlio, l’amico di ognuno di noi. E non si deve dimenticare che merita Giustizia.

di Patrizia Vindigni

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