Trattativa Stato-mafia, la Cassazione conferma: trattarono.
Strage di via dei Georgofili a Firenze, la Corte di Cassazione conferma l’ergastolo per il boss mafioso Francesco Ciccio Tagliavia, il capofamiglia di Brancaccio, l’uomo del tritolo, colui che lo inviò nella città degli Uffizi. Era la notte del 26 e 27 maggio del 1993, quando una potente esplosione in via dei Georgofili, uccise 5 persone tra cui una bambina di pochi mesi. La Cassazione pochi giorni fa ha definitivamente chiuso un capitolo buio, confermando la condanna emessa dalla Corte d’Appello per il boss di Cosa Nostra, cancellando la parola “presunta” dal sostantivo “trattativa” Stato-mafia. La Suprema Corte ribadisce e conferma quanto era stato scritto dal verdetto d’appello che sul punto era stato chiarissimo, cioè la trattativa Stato-mafia c’è stata con il supporto degli apparati di intelligence.
La strategia stragista aveva una “finalità ricattatoria”, così era scritto nella sentenza, che prosegue specificando che “molto più complessa e non definitiva è la conclusione alla quale si può pervenire nei limiti del presente processo in ordine all’esatta individuazione dei termini e dello stato raggiunto dalla cosiddetta Trattativa, la cui esistenza, comprovata dall’avvio poi interrotto di iniziali contatti emersi tra rappresentanti politici locali e delle istituzioni e vertici mafiosi, è però logicamente postulata dalla stessa prosecuzione della strategia stragista: il ricatto non avrebbe difatti senso alcuno se non fosse scaturita la percezione e la riconoscibilità degli obiettivi verso la controparte”. Il riferimento si può interpretare rivolto ai colloqui con Vito Ciancimino che avevano indotto Cosa Nostra, scrissero i giudici, a proseguire nella strategia delle bombe. Scrivono ancora i giudici che “si può considerare provato, che dopo la prima fase della cosiddetta Trattativa, avviata dopo la strage di Capaci (in cui morirono Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta ndr) peraltro su iniziativa esplorativa di provenienza istituzionale ( capitano De Donno e successivamente Mori e Ciancimino) arenatasi dopo l’attentato di via D’Amelio. La strategia stragista prosegui alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura dell’obiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quella interruzione, ma l’oggettivo ammorbidimento della strategia di contrasto alla mafia (cioè alleggerimento del 41bis per oltre 300 detenuti mafiosi nell’autunno del 1993 ndr) ben poteva ingenerare la convinzione della cedevolezza delle istituzioni. Nel frattempo si avvicendavano sulla scena politica nuovi interlocutori oggetto di interesse da parte dell’apparato mafioso i cui referenti furono individuati in Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri”.
In riferimento, poi ai livelli superiori degli apparati militari, il colonnello Mori e il capitano De Donno, hanno sempre negato di avere condotto una trattativa, senza tuttavia negarne l’esistenza. “Noi ci inseriamo inconsapevolmente in un terreno estremamente minato disconoscendo, chiaramente che, verosimilmente, qualcuno stava discutendo realmente con Cosa Nostra e non per gli stessi obiettivi che noi perseguivamo, disse De Donno in una trasmissione televisiva, se trattativa esisteva, probabilmente era condotta da qualche parte, sicuramente politica o rappresentativa di alcuni interessi economici di lobby, che però era realmente in grado di mantenere eventuali promesse”. Mentre il colonnello Mori, in un’altra intervista, nel dicembre del 2011 era stato ancora più chiaro:” La mia non è stata una trattativa ma un rapporto di fonte. Probabilmente trattative ci sono state, ma non potevano essere gestite da un colonnello dei carabinieri: sono ad alto e a maggiore livello, e forse un giorno salteranno fuori”.
Certo un giorno salteranno fuori, intanto la verità inizia a farsi strada. La Trattativa Stato-mafia, non è più presunta, ma accertata. Un altro tassello è stato inserito in questo mosaico composto di morti, di stragi, di assassinii, di suicidi di mafia e suicidi di Stato. L’ex Presidente della Repubblica Napolitano forse conosce molte cose di quegli anni bui, come forse conosce qualche cosa anche Nicola Mancino, che telefonava al Quirinale quando il Presidente era Napolitano, che ha sollevato il conflitto di attribuzione facendo distruggere le registrazioni di quelle telefonate che forse avrebbero chiarito molte cose. La mancata cattura di Bernardo Provenzano, il suicidio di mafia di Attilio Manca, il tritolo portato a Palermo per il giudice Di Matteo che indaga su quei fatti oscuri, le intercettazioni e le dichiarazioni di Totò Riina, fanno capire quanto forza ricattatoria ancora dispone Cosa Nostra. Ma sicuramente, la sentenza della Cassazione rafforza la motivazione dei giudici di Palermo di andare avanti per scoprire cosa sia realmente successo in quegli anni. Le stragi, le decine di morti, un fiume di sangue che poteva essere evitato, ma soprattutto la sofferenza causata alle famiglie delle vittime. Lo Stato “forse” stava dalla parte sbagliata, e questo “forse” la Cassazione lo ha rimosso e si può scrivere che la trattativa Stato-mafia c’è stata.
di Claudio Caldarelli