Placido Rizzotto: difensore dei più deboli, ucciso dalla mafia

Placido Rizzotto nasce a Corleone in Sicilia nel 1914, rimasto orfano di madre da piccolo dovette lasciare la scuola per mantenere la famiglia dopo l’arresto del padre, accusato ingiustamente di associazione mafiosa. Durante la seconda guerra mondiale combattè in Carnia, in Friuli e dopo l’8 settembre si unì ai partigiani della resistenza; tornò in Sicilia. Qui divenne presidente dei combattenti dell’ ANPI, l’associazione dei partigiani, si iscrisse al partito socialista italiano e divenne sindacalista della Cgil. Rizzotto cercò di convincere i contadini a ribellarsi al sistema di potere della mafia, che possedeva gran parte della terra, opprimeva i lavoratori e li assumeva soltanto per raccomandazione e per motivi nepotistici: li guidò nell’occupazione delle terre gestite dalla mafia e nella distribuzione dei terreni incolti alle famiglie oneste. La mafia tentò di isolarlo e lo minacciò più volte, Rizzotto proseguì nelle sue lotte e continuò a guidare il movimento contadino di occupazione delle terre, diventando anche segretario della camera del lavoro di Corleone. Egli sostenne con forza i decreti Gullo, che imponevano l’obbligo di cedere in affitto alle cooperative contadine le terre incolte dei proprietari terrieri. Uno dei terreni assegnati alle cooperative apparteneva a Luciano Liggio, tra i più sanguinosi boss della mafia. La mafia decise di reprimere i tentativi di rivolta dei contadini e il primo maggio 1947 sparò contro duemila persone, soprattutto contadini che manifestavano contro il latifondismo a Portella della Ginestra. Undici persone furono uccise, ventisette restarono ferite, negli anni sulla strage si fecero molte altre ipotesi su chi oltre la mafia potesse essere stato a reprimere le rivolte. La situazione di Rizzotto divenne sempre più difficile, peggiorata anche dal cattivo rapporto con Liggio: Rizzotto lo aveva umiliato pubblicamente sollevandolo durante una rissa tra ex partigiani e uomini del boss Michele Navarra a cui Liggio era affiliato. Il sindacalista siciliano morì pochi giorni dopo, molto probabilmente avvelenato su ordine di Navarra. Le indagini sull’omicidio di Rizzotto vennero condotte dall’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e portarono all’arresto di Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che confessarono di aver rapito Rizzotto insieme a Luciano Liggio. Collura raccontò anche che Liggio aveva gettato il corpo di Rizzotto nelle foibe di Rocca Busambra, dove il 7 settembre 2009 sono stati trovati i suoi resti. Criscione e Collura ritrattarono la confessione durante il processo e furono assolti per insufficienza di prove. Nel 2000 la sua vita è stata raccontata al cinema nel film “Placido Rizzotto” di Pasquale Scimeco.

Parlare oggi di Placido Rizzotto significa rendere un degno omaggio a tutte le vittime della mafia tra cui Dalla Chiesa, Pio La Torre, Chinnici, Cassarà, Falcone, Borsellino etc. Parlare di lui significa anche parlare delle cooperative che operano sui beni confiscati alla mafia. Il film e i documentari a lui dedicati servono a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno mafioso, che è diventato un cancro che non si riesce a debellare. Come si evince da questa storia fatta di sopraffazione, violenza ed imposizione, che chi combatte per i diritti sociali, politici e civili dei più deboli nelle terre in cui la criminalità attua il suo giogo paga molto spesso con la vita (in un clima di intimidazioni ed estorsione anche del consenso). Oggi, tuttavia nonostante il prezioso lavoro fatto dalla magistratura e dalle associazioni antimafia la situazione non sembra essere mutata. Infatti oggi la mafia sfrutta la manodopera migrante con lo strumento del caporalato, impone il pizzo a commercianti ed imprenditori che fanno onestamente il lavoro. Essa non ha colore politico ed è collusa al sud come al nord con alcuni partiti di vario orientamento. La popolazione si sta lentamente sensibilizzando, ma c’è da fare ancora molto perché vi sono ancora molti residui di omertà, in quanto la gente ha paura di denunciare Ma se ci si ribella a questi fenomeni facendo rientrare tutto nella legalità si potrà ambire ad una duratura stagione di riscatto dell’orgoglio italiano.

di Lucio Altina

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