Calogero Cangelosi: quando lo Stato non esiste e la giustizia tantomeno
Siamo nel 1948, in Sicilia, precisamente a Camporeale. Gli anni del dopoguerra non sono facili, con le continue lotte tra le cooperative dei contadini ed i proprietari terrieri.
Calogero Cangelosi vive a Camporeale, ha 42 anni, una moglie, Francesca Serafino, di 35 anni e quattro figli: Francesca (11 anni), Giuseppe (5 anni), Michela (3 anni) e Vita (2 mesi).
L’unica colpa di Calogero è stata quella di essere un bravo segretario della CGIL: era dalla parte dei contadini e della democrazia.
La sera del 1 Aprile di quell’anno, alla Camera del lavoro c’era stato molto da fare fino a tardi e, quando Calogero decide di tornare a casa, quattro uomini si offrono di accompagnarlo. Si offrono come “scorta” volontaria, e lo fanno perché tutti sanno bene, Calogero per primo, che i signorotti del paese, quelli contro lui combatte per proteggere i contadini, i mafiosi, lo tengono sotto mirino. Lo sanno perché, qualche giorno prima, era stato “invitato” a lasciare la politica, ma ovviamente lui non l’aveva fatto.
Dalla piazza, i cinque si dirigono verso la casa di Calogero. Sono le 22:30. Sono quasi arrivati a casa, ma all’improvviso decine di spari di mitra colpiscono il gruppo di uomini. Calogero morirà subito, massacrato dalla grande quantità di colpi sulla testa e sul petto, ed altri due uomini che lo accompagnavano vengono gravemente feriti.
Calogero viene portato a casa del suocero, dove lo raggiunge subito la moglie. Inutile provare ad immaginare la sofferenza, le urla di dolore di quella povera moglie, dei familiari, degli amici. Il cadavere non si può toccare, deve essere lasciato così com’è fino all’arrivo del magistrato per la perizia. Nessuno, però, poteva immaginare che il magistrato si sarebbe presentato dopo ben quattro giorni. Esatto: Calogero è stato lasciato morto in casa per quattro giorni. Sua moglie e sua madre continuavano a cambiargli le camicie perché il sangue continuava ad uscire dalle ferite sul suo corpo crivellato di colpi, diventato ormai gonfio ed irriconoscibile.
Dopo quei quattro giorni di sofferenza, la moglie ha addirittura dovuto convincere il parroco della chiesa a celebrare il funerale, dicendogli che suo marito non era comunista, ma socialista.
Un uomo abbandonato da tutti: dallo Stato, dalla Chiesa, dalla burocrazia. Solo i contadini per i cui diritti aveva tanto lavorato ed aveva sacrificato la sua vita intera si sono presentati in massa al suo funerale e lo hanno sempre ricordato per tutto ciò che aveva fatto per loro.
Tutti sapevano chi avesse ucciso Calogero e chi fosse il mandante, ma nonostante questo nessuno è stato dichiarato colpevole. Lo Stato ha messo la testa sotto terra, ha fatto finta di non vedere, è stato omertoso e schiavo della malavita.
La moglie Francesca è stata costretta a trasferirsi a Grosseto con i figli ed è morta a 96 anni, ancora in lutto per la morte del marito che non riusciva a ricordare senza che i suoi occhi si riempissero di lacrime e che, gelosamente, custodiva ancora la cravatta del suo amato Calogero crivellata di colpi. Per tutta la vita ha sempre cercato giustizia per suo marito, senza mai ottenerla.
di Ludovica Morico