In marcia da Washington a un’altra era per la sopravvivenza del pianeta Terra

Ci sono scosse telluriche che in superficie pochi riescono appena a percepire. Non nel sottosuolo, dove certi colpi si fanno sentire in maniera inequivocabile come il primo di un prolungato sciame sismico. Un simile colpo è l’annuncio che il 22 aprile prossimo, in occasione della Giornata della Terra, si svolge in oltre 600 città del mondo la Marcia per la Scienza. L’epicentro è Washinton D. C., capitale istituzionale degli Stati Uniti d’America. È l’apertura ufficiale dello scontro tra politica, ideologia da una parte e scienza dall’altra. Non solo la politica e l’ideologia di Trump ma quella di chiunque altro metta a rischio la sopravvivenza del pianeta Terra. Con la sua rude scelta a favore di produzioni ad alto incremento di inquinamento e innalzamento termico, il neo presidente yankee ha solo fornito l’occasione formale per l’apertura delle ostilità, ma esse già covavano da tempo – proprio nel sottosuolo della nostra civiltà. Proprio all’inizio del 2017 gli studiosi del Bulletin of the atomic scientists hanno spostato di trenta secondi in avanti il cosiddetto Orologio dell’Apocalisse. Per il team, composto tra l’altro da 15 premi Nobel, con l’arrivo di Trump, le lancette sono ormai arrivate a soltanto due minuti e mezzo dalla Mezzanotte epocale della Terra.

Trump pretende di spazzare via in un sol colpo le pur graduali, insoddisfacenti misure emanate da Obama e dal COP 21, ossia dal vertice mondiale sul clima del dicembre 2015 a Parigi (vedi numero del 21/2015). Il documento che convoca la marcia di Washington parla esplicitamente del perseguimento di “obiettivi ideologici che mettono il mondo intero in pericolo”. Del termine “ideologico” va chiarito proprio l’aspetto non ideale ma pratico, concreto, economico, materiale. L’intento di Trump è quello di ridare forza a un tipo di produzione industriale il cui scopo principale è il profitto netto, senza altri costi e spese aggiuntive che ne diminuiscano l’ammontare. Il profitto è la differenza tra i costi delle materie prime, la manodopera, i macchinari, gli ammortamenti da una parte e i ricavi ottenuti dalle vendite dall’altra. Si sa che per Marx il profitto è già nella sola differenza tra costo, sfruttamento del lavoro salariato e il valore delle merci da esso prodotto.

In ogni caso l’estrazione di tale profitto non solo avviene a scapito dell’ambiente naturale e dell’uomo, ridotti a meri mezzi di produzione da usare, consumare, logorare, inquinare. No, esso è anche un’ingente risorsa economica sottratta proprio alla scienza per potenziare le sue possibilità di soluzione dei grandi problemi planetari. E a quale scopo viene sottratta tale risorsa? A un fine puramente ideologico: quello del capitalismo, l’ultima ideologia sopravvissuta del mondo otto-novecentesco. Sulla scorta di questa deleteria sopravvivenza ideologica si sta mettendo a rischio la vitale sopravvivenza della Terra stessa. Si sta – come scrive il filosofo Emanuele Severino nelle sue mirabili pagine sul tema – “segando il ramo su cui stiamo tutti seduti”. Su cui stanno soprattutto sedute la Scienza e la Tecnica contemporanee. La Terra, infatti, è per esse la base, la piattaforma, l’ambiente geofisico concreto dal quale sviluppare sempre di più le enormi potenzialità che gli si sono spalancate nell’ultimo scorcio storico. Ogni messa a repentaglio di tale base materiale-ambientale è un attentato alla loro stessa esistenza. Alla stessa stregua, ogni risorsa naturale ed economica ideologicamente sottratta a tale concreto slancio è una letale, intollerabile limitazione del potenziale oggi disponibile per l’umanità.

Lo scontro tra scopi di sviluppo tecno-scientifici e scopi di profitto capitalistici appare dunque inevitabile. E come in tutti i veri scontri tendono a delinearsi più nettamente le posizioni in conflitto. Da una parte il ritorno a governi politici duri, tanto più apparentemente decisionisti quanto poco realmente democratici, tanto più declinanti nella loro intrinseca potenza quanto più sgomitanti nella loro altisonante prepotenza. Dall’altra quella diffusa rete di organismi, concrezioni e applicazioni tecnologiche della scienza che va strutturandosi in un vero e proprio Apparato planetario, il quale non tollera più mezze misure e rinvii a tempi troppo lunghi per provvedimenti non più derogabili, dato che già erano in ritardo ieri.

La Marcia della Scienza del 22 aprile 2017 segna così il configurarsi di una soglia epocale su cui più acuto ma anche più chiaro si fa il vero conflitto tra passato e futuro. Alla sua luce molte dispute politiche locali e anche transnazionali certamente non si attenueranno ma appariranno via via in una nuova scala storica e universale.

“Siamo di tutte le razze, religioni, orientamenti sessuali, strati socioeconomici, abilità, idee politiche e nazionalità. La nostra diversità è la nostra più grande forza. Ciò che ci unisce è l’amore per la scienza e un’insaziabile curiosità. La scienza è ovunque e interessa tutti”. Già in queste parole il trapasso di un’epoca. Passaggio che avviene, però, per il momento, ancora sulla superficie e non nella profondità buia del sottosuolo. Ma ci arriverà. La marcia prevede anche delle sue manifestazioni italiane. Il 21 a Napoli, Caserta, Firenze, Torino e Milano. A Roma appuntamento alle 16 al Pantheon, con un corteo fino a Campo de’ Fiori – dove è la statua a Giordano Bruno – e un dibattito pubblico alle 18 sulla terrazza del Pincio.

di Riccardo Tavani

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