Ritratto di famiglia con tempesta

Il tempo ha questa doppia accezione nel linguaggio umano: quello cronologico e quello atmosferico. In entrambi i significati esso sembra sovra determinare la vicenda esistenziale umana. Non possiamo arrestare né il suo scorrere, né il suo scatenarsi tra la terra, il cielo e il mare. Ma il tempo cronologico è invisibile, intangibile, addirittura impensabile, impronunciabile, tanto che Sant’Agostino afferma che se qualcuno gli chiede di spiegare cosa sia, lui non sa, non può farlo in nessun modo. E il cinema è soprattutto visione, ossia pensare nel modo non dei concetti, delle parole ma delle immagini. I concetti del cinema sono le inquadrature, le sequenze, i movimenti della macchina da presa. Ecco, allora, che niente meglio dello scorrere sullo schermo delle immagini verso lo scatenamento di una tempesta notturna sulla città può mettere l’uomo di fronte a una forza ineluttabile che non può in nessun modo arrestare, evitare. Il tempo si fa concreto.

Ryoto se la passa abbastanza male. Da luminosa promessa della letteratura giapponese, si è ridotto alla consunzione esistenziale a causa del gioco d’azzardo. Cosa che gli impedisce di passare anche gli alimenti alla moglie Kyoko, dal quale è separato, se vuole rivedere ogni tanto il figlio Shingo. Con una patina di sgualcita tristezza addosso, incapace di scrivere il suo nuovo romanzo, si è adattato a fare l’investigatore privato da di tradimenti matrimoniali presso un’infima agenzia della città. Ma pedina soprattutto Kyoko, nei suoi appuntamenti con un uomo insieme al quale esce la sera. Soprattutto Ryoto si sente incapace di dare qualcosa al figlio, perché la sua vita attuale è sulla soglia del nulla esistenziale e quella passata – quando erano una famiglia – il tempo cronologico sembra averla ingoiata e triturata dentro il suo grande stomaco senza possibilità di ritorno. Così il disperato investigatore da strapazzo e scrittore fallito non trova di meglio che condurre il figlio Shingo in un passato ancora più lontano. Nella casa in cui Ryoto è cresciuto da ragazzo, vive da sola ancora sua madre Yoshinko. Qui abbiamo un’altra immagine del tempo: quello sul volto di una donna, di una nonna che ha attraversato tante tempeste nella vita. È anzi le sue sembianze, i suoi modi, le sue parole sono proprio l’essenza del titolo del film. Perché la “famiglia con tempesta” è la condizione stessa dell’esistenza umana. Se non possiamo impedire l’abbattersi di un nubifragio, di un ciclone, di un potente rovescio del tempo sulle strade delle nostre vite, possiamo sempre tornare a un luogo della nostra infanzia che è anche un rifugio originario in noi. Per quanto piccolo, banale possa apparire, esso assume un risalto di segreta fortezza affettiva e potenza immaginativa proprio in relazione e in mezzo alla tempesta di pioggia e di vento che imperversa implacabile là fuori. E ancora prima che il flagello e il buio cessino, la luce di una nuova alba, di nuove parole da scrivere e dirsi è già spuntata dentro quel riparo giù nel nostro inconscio.

di Riccardo Tavani

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