Gloria e Marco, e il fuoco di una rabbia che non si spegne

Le riflessioni a caldo dopo una tragedia sono sempre dettate dalla rabbia, buttare giù parole quando si è immobilizzati dalla paura e tagliati in due dal dolore è semplice quanto lasciarsi trasportare dalla corrente inarrestabile di un fiume in piena. Ritornare sui fatti, guardarli, per quanto possibile, “col cannocchiale rovesciato”, se è difficile per chi dalla vicenda è coinvolto, è responsabilità del cronista che ha il dovere di opporre resistenza alla corrente, e separare le parole e i commenti nel fiume che lo ha appena travolto.
La storia di Gloria Trevisan e Marco Gottardi, la coppia di giovani italiani che ha perso la vita nel rogo della Grenfell Tower di Londra, la notte del 14 giugno scorso, ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso fino all’accertamento del decesso. I due ragazzi, dapprima dati per dispersi, sono rimasti in uno straziante contatto telefonico con i loro genitori fino alle quattro del mattino, tra lacrime e addii che è giusto rimangano privati, nella sfera di quel dolore che due famiglie hanno vissuto in un modo che è difficile immaginare più devastante.
Le parole scritte su di loro sono state tantissime, e probabilmente è giusto. Giusto che sia stata permessa la condivisione della storia di due ragazzi simili a tantissimi altri che – indipendentemente dal luogo in cui si trovano, dal percorso lavorativo che scelgono – costruiscono una vita passo dopo passo. Le parole che probabilmente sono meno giuste, e che rientrano in quel fiume di rabbia che comprensibilmente travolge tutti dopo l’accaduto, sono quelle che gettano le colpe su quello che è l’Italia che non protegge i propri ragazzi e li costringe a scappare per avere un futuro migliore; quelle parole che fanno rumore e che proprio per questo si condividono più facilmente, perché da rabbia nasce rabbia ancora più grande e condivisa, perché gli stage non pagati opprimono tutti e il sogno di andar via diventa obbligo in molti casi. Ma questa generalizzazione, la necessità di avere un capro espiatorio, aumenta il sentimento di un’ingiustizia che è condivisa, ma non rende giustizia al dolore ai genitori di Gloria e Marco, e sposta la responsabilità dell’incendio di Londra che non è colpa dello stato italiano né degli stati di provenienza dei tanti immigrati che vivevano nel grattacielo. Non è colpa della necessità di guadagnare di più, non è figlio di sogni e speranze. È generato da noncuranza, disattenzione, da presunti ritardi nei soccorsi, ma non è colpa di una scelta di due ragazzi che per caso e sfortuna hanno scelto quel grattacielo e quell’appartamento. Gloria e Marco sono tutti quelli che sono andati via, ma sono anche tutti quelli che sono rimasti. I primi non sono più coraggiosi dei secondi, i secondi non rischiano meno dei primi. Puntiamo, se necessario, il dito contro il giusto colpevole: è il rispetto che la scelta libera di Gloria e Marco si merita.

Di Giusy Patera

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