Acqua, quando l’emergenza è aspettata

Oltre venti anni fa, Ismael Serageldin, allora vice presidente della Banca Mondiale, individuava nell’acqua e nella sua gestione la causa più probabile dei conflitti del secolo allora alle porte.
Oggi, lo sappiamo, la sua rarità e il suo crescente valore pongono l’acqua al centro di complicati interessi geopolitici.
Questa torrida estate, unitamente ad una gestione fallimentare dell’acqua, dalla raccolta, alla conservazione, al trasporto, mette tutti noi di fronte ad una questione che pensavamo non ci appartenesse.
Purtroppo non è così e, purtroppo, come ogni volta che ci troviamo ad affrontare problemi epocali, reagiamo nel modo in cui solo il Paese di Pulcinella sa fare.
L’acqua e la sua gestione, fonte vera di conflitti in tanta parte del mondo, qui si consuma tra i frizzi e i lazzi dalla politica italiana vecchia, nuova e nuovissima.
Prendiamo la situazione che Roma affronta in queste settimane e parliamo di dati. Nel 2007 la dispersione di acqua nelle tubature era del 25%. Una percentuale che sale al 35% nel 2013 ed arriva al 45% quest’anno. Siamo, evidentemente, di fronte a un peggioramento progressivo della rete. Che senso ha, allora, parlare di “emergenza”? Non siamo certo di fronte ad un evento imprevisto e inatteso.
Cosa è stato fatto per proteggere i bacini dall’inquinamento, quali le strategie adottate e le infrastrutture di incanalamento e conservazione delle acque realizzate? Quali sistemi sono stati, negli anni, adottati per un uso consapevole dell’acqua in agricoltura, nell’allevamento, negli utilizzi industriali? Che informazione è stata data ai cittadini per adeguare alla nuova situazione climatica i loro consumi individuali?
Sono queste le risposte che devono arrivare dalla buona politica.
Sciaguratamente non è così. Mediocrità e cialtroneria la fanno da padrone anche in questa torrida estate. Solo che non fanno più ridere.

di Enrico Ceci

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