Maria per Roma

Il cinema è metafora della realtà o è la realtà stessa? Potremmo semplicemente rispondere che il cinema è realtà perché è qualcosa di concreto che sta dentro il reale quotidiano della vita di tutti i giorni. Certo, ma quello che qui intendiamo è se il contenuto e la forma artistica di un film meramente dicano, rispecchino la realtà o se invece mostrino, portino alla luce zone della realtà concreta misconosciute. Diciamo questo a proposito del film “Maria per Roma”, del quale l’autrice Karen Di Porto è anche attrice protagonista. E lo diciamo proprio perché – essendo il personaggio della protagonista un’attrice in cerca di un lavoro, di un’occasione che la metta alla prova e la inserisca definitivamente nel mondo da lei desiderato – il film parla di cinema. Il cinema che parla di cinema – ossia un’opera di meta-cinema – sembra però quanto di più lontano dalla vita, dalla realtà concreta di tutti i giorni della stragrande maggioranza delle persone. La gente normale vive problemi di lotta quotidiana per la conquista di reddito e spazi di sopravvivenza un po’ meno disagiata nella giungla dell’asfalto metropolitano. Questa realtà, però, la vive anche Maria. In attesa del grande balzo davanti a una macchina da presa e dietro il grande schermo, Maria sopravvive mostrando e aprendo gli appartamenti, i B&B presi in affitto dalle migliaia di turisti che ogni giorno affluisco e soggiornano provvisoriamente nella Città Eterna. In questa attività deve fare fronte alle situazioni più impreviste, spinose, anzi, spesso autenticamente odiose. Deve anche accudire la cagnolina Bea, che lei si trascina dentro una cesta o sulla pedana del motorino.

Ecco, dunque, che Maria per Roma trascina dietro di sé la implacabile realtà di quotidiana sopravvivenza fisica, animale e quella del sogno, delle speranze e delle aspirazioni più profonde, rappresentate per lei dal cinema. Scusate, ma non è quello che succede a molti di noi, a meno che non ci siamo arresi del tutto al tran tran di un’esistenza senza più alcun orizzonte oltre il tramonto? E proprio il cinema non è fatto di quella che Shakespeare chiama la materia, la stoffa dei sogni, dei desideri? Certamente questa è la condizione che vive la stragrande maggioranza dei giovani, soprattutto nelle nostre città e province in questo presente storico. Hanno studiato, acquisito lauree, diplomi, attestati professionali, si sono formati, hanno soggiornato all’estero, imparando altre lingue. Sono invece costretti o a prendere la via dell’espatrio o ad accettare sotto-lavori sotto o niente affatto pagati, sapendo che non hanno alcuna prospettiva e diritto di assistenza, ferie, pensione, ecc. Ognuno di essi ha un sogno esistenziale cui non ha rinunciato, e verso il quale cerca di gettare o mantenere un ponte di possibilità realizzativa, quasi sempre inesorabilmente frustrato.

Parliamo di giovani ma – in realtà – neanche tanto più giovani. Proprio come Maria/Karen. Il personaggio del film, infatti, è il calco preciso della sua autrice. Una generazione che non ha vissuto pienamente la sua giovinezza, tanto da rinunciare anche a fare figli, è ora già scalzata da quella successiva, senza aver potuto realizzate niente.

Pur girato nella chiave lieve e intelligente della commedia, e quindi di un possibile prevalere del divertimento nel senso della diversione, Karen Di Porto dimostra una grande capacità – sul piano della narrazione e della regia – di non smarrire mai il nocciolo drammatico esistenziale e di riportarlo fino alla fine al centro autentico della scena. Per questo ci auguriamo che il suo sogno cinematografico le offra altre, maggiori possibilità di continuare parlare così intimamente anche di quelli nostri e dei nostri ragazzi.

di Riccardo Tavani

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