Tempo allo stato solido

A Roma, nel tempio di Venere, si apre “Kòrai” mostra personale di Mattia Bosco. Il tempio di Venere è il più grande della antica Roma, inaugurato nel 136 d.c.

La mostra di Mattia Bosco presenta 12 opere, ricavate da marmi rari e preziosi, incrociando la storia dei marmi di risulta di estrazioni andate a male, con la loro autentica capacità di rappresentare fluidità e temporalità di essenza non visibili.

Cioè i marmi incastrati con pietre di risulta formano “Kòrai” da interpretare con fantasia e creatività. Le Kòrai nella antica Roma erano statue vestire di donne giovani. Così le vede Mattia Bosco nel tempio di Venere. Nella Cella di Roma, nove Kòrai sono posizionate in cerchio. Memoria di fanciulle che, come antiche vestali, lavorano in modo congiunto, officiando un rito misterioso e sconosciuto. Presenze dal fascino enigmatico, incomprensibile, difficilmente leggibile, ma sicuramente affascinanti. Sono simili nella forma, anche se rivelano differenze nelle pose. Sono legate alla pietra da cui provengono e da cui lo scultore ne ha tratto le sembianze, senza lasciare trasparire nulla di più di ciò che la creatività artistica può vedere.

L’arte di Mattia Bosco, è un arte metafisica, astratta ma materiale. Fluida ma solida. Sostenibile in quando si compone di massi scartati da attività estrattive. Lo scultore scopre la forma intrinseca della materia, donando loro un’anima che altrimenti sarebbe stata negata dal loro essere scarto. Ne esalta il processo di formazione e introspezione. L’arte sostenibile di Bosco ci ripropone la sostenibilità del pianeta, come scelta artistica di vita.

Pezzi di mondo che hanno milioni di anni, così li definisce l’artista filosofo che appena terminata l’opera se ne sente espulso. La pietra erosa e scolpita dagli agenti atmosferici, sente anche la mano dello scultore che gli dona l’alito vitale della vita, trasformando la pietra in opera. La pietra viene messa in piedi, prende forma, acquisisce vita propria.

Ci sono esposte anche le sezioni auree in quanto Bosco ci mette dell’oro definendole luce allo stato solido. “I frammenti scintillanti si coagulano in lamine cicatrizzando la superficie scoperta, radunandosi in sezioni auree”. Metafora di quanto sia prezioso perché custode di segreti vitali.

Emanuele Caldarelli

 

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