Stop al decreto Temer

Parafrasando il mugnaio di Potsdam, c’è un giudice a Brasilia.
Il giudice federale Rolando Valcir Spanholo ha accolto, parzialmente, una petizione popolare che chiedeva la sospensione del decreto Temer.
Il provvedimento, che revocava dello status di riserva protetta all’area della National Reserve of Copper and Associates situata nel Brasile settentrionale tra gli stati settentrionali di Amapà e Parà, era stato emesso da Michel Temer, salito al potere con un golpe politico-giudiziario, su sollecitazione dalle maggiori società minerarie del mondo interessate a sfruttare la regione.
Nella riserva, infatti, sono presenti enormi depositi di rame, oro, nichel. E’stata proprio la presenza dei giacimenti e la volontà di conservarne il controllo a spingere, nel 1984, il regime militare che governava il gigante sudamericano a istituire la riserva. Niente a che vedere con l’ambientalismo.
Il rischio è che, a seguito della decisione presidenziale, si possano aprire le porte ad una nuova corsa all’oro. Certo, il governo ha affermato che il permesso di sviluppare la ricerca e l’estrazione mineraria verrebbe concessa solo nelle aree in cui non insistono altri vincoli e restrizioni, come la protezione della vegetazione autoctona, le unità di conservazione, le terre indigene e le aree nelle strisce di confine.
Si tratta, però, di rassicurazioni che non hanno convinto per niente ambientalisti e attivisti.
Per il coordinatore del WWF Brasile Riccardo Mello, quanto stabilito con il decreto presidenziale lascia prevedere una vera catastrofe, capace di mettere a rischio le nove aree protette che rientrano nei limiti della riserva, come il Parco Nazionale delle Montagne Tumucumaque, e costituisce una gravissima minaccia per le comunità indigene che vivono nella foresta amazzonica. Le attività minerarie, infatti, condurrebbero a un’esplosione demografica, alla deforestazione, alla distruzione delle risorse idriche, alla perdita di biodiversità e a nuovi conflitti territoriali.
Per il senatore dell’opposizione Randolfe Rodrigues, originario dello stato di Amapà, quello che si sta tentando è il “più grande attacco all’Amazzonia degli ultimi cinquanta anni”.
I pubblici ministeri hanno sostenuto che il decreto rappresenta una “seria minaccia di ecocidio”. La sospensione decisa dal giudice Rolando Valcir Spanholo, invece, rileva che per “una scelta così importante serve l’intervento del Congresso” perché solo il potere legislativo può autorizzare l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse idriche e minerarie sulle terre indigene.
Su questo punto le opposizioni hanno presentato un disegno di legge per fermare definitivamente gli effetti del decreto presidenziale.
Ancora una volta gli interessi economici di un’oligarchia si contrappongono a quelli generali. Oggi, grazie alla decisione del giudice, il popolo brasiliano e la comunità internazionale hanno più tempo per tentare di bloccare definitivamente interessi tanto forti in un’area tanto fragile. Non sprechiamolo.

di Enrico Ceci

Print Friendly, PDF & Email